Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

.

lunedì 7 maggio 2012

Roba di caffetteria


Per fare un buon jazz occorrono pochi ingredienti: un bar affollato da cui sia possibile osservare gente che entra e gente che esce, gente che passeggia e gente che si ferma a discutere a due metri da te; un allievo disposto a seguire le tue orme e a discutere con te le vicende e gli sguardi e le voci e le storie; un caffè ben fatto, di quelli soltanto che accendono curiosità e scatenano buone intuizioni. Avrete capito già che senza caffè non c'è jazz!
L'umanità si divide in due grandi categorie: quelli che stanno fermi e quelli che si muovono.
Se incominci a seguire un racconto che si snoda tra due che si parlano fitto fitto, non importa se donne, ma che poi si allontanano lentamente tenendo la nota, tu devi seguirli discretamente, per non perderti il resto della storia. Se resti seduto, ti ritrovi dentro il magone per un amore perduto o per un intrigo interrotto sul più bello: niente arabeschi sonori da innalzare nell'aria!
Il passo di danza di una giovane donna dalle gambe lunghe con i tacchi a spillo va  studiato fino alla consumazione della parca colazione, programmata con la medesima cura per non alterare l'equilibrio del rossetto ambrato. I bordi della bocca sono da sfiorare appena. Lo strumento non indugerà troppo sul tema. È un prestissimo da cui congedarsi senza malinconie. La passante ci dona la sua bellezza nell'istante eterno di una citazione musicale.
Il labirinto delle voci che si accalcano tra un angolo e l'altro è la tua orchesta. Altro che quartetti e quintetti! Qui c' è un dispositivo mahleriano con cui puoi scavalcare i secoli e veder morire Venezia! Quando poi ti ritrovi a fare musica house, c'è tutto Mahler che ti si agita dentro, e sberleffi, e sorrisi, camerieri, cassiere. Vorresti stare altrove, magari con uno dei tuoi Maestri, a riempire di suoni inauditi gli interminati spazi e i sovrumani silenzi che ti porti dentro.
Considerate che un buon caffè te lo fai solo a casa tua. E chi uscirebbe, se non mi trascinasse via l'allievo fedele che ha eletto a sua meta ideale il bar che sta sotto casa mia! E' lì che incontro tutta l'umanità, quelli che stanno fermi e quelli che si muovono.



*

lunedì 16 aprile 2012

Di acceso stupore un canto sospeso


Alla 'scuola del sospetto' di chi tende a ridurre sempre quel che fai a qualcos'altro che sta dietro, che tu non hai detto, che non pensi e che ti stupisce dolorosamente per la sua pungente cattiveria intendo opporre qui una mia 'scuola del rispetto' di cui è fatta l'umiltà con cui mi accosto alle cose con la mia giovane musica.
Ho contribuito forse anch'io a diffondere un'immagine di me come persona schiva e riservata, propensa al silenzio più che alla chiacchiera disinvolta e spassionata. Io amo invece il chiasso e il frastuono delle case di condominio della mia vecchia città, perché è sempre da lì, dal rumore della vita che palpita che mi sono fatto diapason che vibra, ora in armonia con l'umile splendore della vita quotidiana, ora dissonante, in contrasto con le aspre richieste degli inascoltanti e degli impazienti. C'è sempre chi ti chiede di dire qui e ora quello che hai da dire con il tuo strumento già pronto, come se il cuore fosse sempre già accordato e pronto a cantare per qualcuno! Restituire la festa della vita con un altro timbro e lasciare che le lacrime delle cose parlino per noi, facendoci diventare lo strumento che vibra all'unisono con le lacrime è compito! È in quel canto per voce sola che ho trovato la mia cifra, e con esso ho modulato la speranza segreta e ho dato ala e respiro agli ansiti brevi del cuore, memore di lei soltanto, a lei eternamente grato per lo sguardo benevolo e il balsamo della voce suadente e complice al mattino. Amore è sciogliersi dalle lenzuola gelosi di Copernico; lui, non il marito di una Maria Ivanovna avendo per rivali! E mi sono fatto, così, mite interprete del volto sognante e del passo di danza. Ho dato voce alle linee sinuose del tempo, ai silenzi e agli indugi e al profumo di donna, alle sillabe del piacere e al pianto disperato, quando ero voce sola e non mi rispondeva un cuore al battito dell'ala che accenna al volo e attende il suo tempo per partire.
Per poter stabilire un accordo, per entrare a tempo e restare e durare, non basta essere lì e dire: "Ci sono! Si cominci!", come se di metodo e di nervi calmi soltanto si trattasse.
Qualche volta è accaduto che abbia lasciato morire un'atmosfera magica, creata forse apposta per me, che abbia lasciato solo chi aspettava la nota giusta e la frase e la variazione insistita che esaltasse la ricerca tonale, la cadenza della voce, il carattere lungamente corteggiato dello strumento che risponde alla vibrazione del cuore.
Più spesso mi è accaduto di improvvisare con gli allievi ed è stata la festa della mente che celebra la sua allegria, il nutrimento dell'anima che esulta quando uno sguardo e un invito ad entrare si fanno tempo e ritmo cadenzato e singhiozzo, sospiro, sussurro.
Provateci voi a dire come si esca dal silenzio, per riempire lo spazio tutt'intorno di voci che raccontano a questa voce e a quella la storia che prima di venire vi è stata sussurrata, voce nel deserto, dal vostro cuore! e provate a far capire al violoncello che siede accanto a voi che deve farsi per un po' voce stridula e opaca e poi innalzare al cielo la muta preghiera di ringraziamento per il bene ritrovato! Provateci a tradurre in una frase il timore che accompagna la speranza, il disperato e insistente richiamo d'amore levato al cielo perché le creature dell'aria rispondessero a voi, proprio a voi, con il loro canto e con i voli che riempiono cielo e terra nelle sere d'inverno, quando la legna per il fuoco sta per finire e dovete approfittare dell'ultimo tepore, prima che la vostra donna vada via!
Bisogna essere così, disposti alla cruna dell'ago, flessibili come giunco, rugiada più che pianta, per riuscire a dire, quasi senza aver pensato, quello che il cuore ha sentito in lei, nello sguardo assorto e pensieroso, mentre fuori piove, e il camino scoppietta per voi ancora un po'. A breve sarà di nuovo gelido inverno e aspro rimprovero, perché non provvedeste in tempo a costruire ripari per la stagione che tarda a morire e mentre primavera non dà segni di voler apparecchiare per voi la scena appropriata, dovete trattenerla con la voce e con il canto, quelli avendo come strumento che incanta e fa dimenticare il tempo che indugia, mentre un altro tempo si annuncia da lontano. È in quell'eco indistinta che si giocherà il vostro destino. Provateci voi ad improvvisare per lei il canto appropriato, quando il cuore sconcorda con il suo e non è ora di rientrare nel suo cerchio. A che vale confessare il proprio sbandato errare, e rendersi a lei in umiltà, se il cielo non vi dà il segnale ancora per iniziare?
Il mio indugio è tutto lì, in quel mio morire ogni volta nell'attesa del mio turno. Non potete biasimare il mio indugio qui, davanti alla sua soglia, sempre preso dal fragile patrimonio dei miei sogni!


______________________________________________________________

giovedì 27 ottobre 2011

Presentimenti

*
«Dentro di te c'è un fatale angolo morto». Quando gli occhi sono caduti su queste parole, alla pagina 474 de L'uccello che girava le viti del mondo, di Murakami Aruki, ho provato la sgradevole sensazione che si riferissero a me, che l'Autore le avesse messe lì apposta, per indicarmi severamente che qualcosa in me non va. Naturalmente, non mi sono mai fatto suggestionare dalle coincidenze. Ma poi, quali coincidenze? Che cosa c'entra con la mia vita una frase buttata lì da uno scrittore, a segnalare la condizione di un personaggio che entra ed esce dai suoi sogni senza ricordare bene a volte cosa sia sogno e cosa realtà? Fatto sta che non è finita lì, perché mi sono portato dietro per giorni il peso di una sentenza che suonava come monito per me. Ho risposto, allora, all'invito di un amico regista, un giovane che vive a due passi da una Chiesa vecchia di mille anni che ha voluto farmi conoscere, perché convinto che lì avrei trovato forse una risposta alle mie inquietudini. Egli sa bene che un tempo ero credente appassionato, che a tratti comunicavo con l'aldilà: poteva farmi bene immergermi in un'atmosfera mistica per un po'. Ho accettato la sfida e mi sono diretto di buon mattino verso i luoghi designati per l'esperienza esemplare, segretamente preoccupato che veramente potesse accadere qualcosa di indesiderato.
Sotto le volte e le colonne del tempio ho aspettato che succedesse qualcosa, ma sembrava che non fosse quello il tempo per uno scioglimento: i grumi di dolore che impedivano l'accesso al nucleo nascosto nel fondo dell'anima resistevano alla dolcezza che pure si distillava nel cuore. Altre voci risonavano in me. La voce di mio padre. Il canto domenicale. Alcune preghiere recitate da bambino. E musica. Tanta musica! Corali. Organi. Clavicembali. Spinette. Dov'ero io? Che ne era della parte di me che pure rispondeva alle voci? Una lieve commozione mi prendeva alla gola. Ma non ho voluto 'proseguire'. So che quel dolce tornerà. Ma in quel momento era troppo, era già troppo per me!

*

mercoledì 3 agosto 2011

Il tempo prima della felicità

*

Caro Dario,

ti chiederai perché io torni a scriverti, come se non lo avessi fatto già, in risposta alla tua. In verità, sento il bisogno di chiederti consiglio e però, prima ancora, di confessarti un imbarazzo e una difficoltà. Nel mio lavoro di turnista si incontrano persone di ogni genere. C'è sempre chi si avvicina alla fine di un Concerto a congratularsi e a parlare di musica e dei propri talenti.
- Ho scritto una canzone, che vorrei farti sentire. Possiamo incontrarci?
Si può dire di no, soprattutto quando la persona ti prende alla sprovvista? Dopo tutto, chi sono io? un maestro della musica che non ha tempo per i principianti? Non ho iniziato anch'io così, dal niente? Fin qui tutto sembra facile e poco problematico: si tratterà di dire onestamente se una cosa vale o no, se ha difetti e quali. Le cose si fanno più complicate quando a chiederti aiuto è una giovane donna che mostra chiaramente di essere interessata non solo al tuo modo di suonare ma a te, proprio a te. Diciamo: anche a te. Se fosse solo questo, non sarebbe difficile districarsi. Ma se la stessa persona si presenta come compositore - compositrice - e con entusiasmo ti parla e ti parla di cose che piacciono anche a te, non capisci più a chi devi dire sì e a chi no.
Sia ben chiaro: non posso dire che non sia capitato mai con le lezioni private! Stare vicino a una allieva che fa la tonta e vuole essere guidata per mano, per allungare il brodo e magari stare un'altra ora con te, è accaduto già. Ma questa volta ho paura. Sì, è così. A questa ragazza non sono in grado di dire no. Non sono nemmeno sicuro che avrò il coraggio di dirle che qualcosa non va. Ma poi, se finisco per studiare solo quello che può servire per rivederla ancora?
Tu pensi che dipenderà dalla Musica, che ci rende più sensibili alla bellezza e fragili ed esposti? A me non mancano argomenti: mi conosci! Posso intrattenere un allievo per ore, se mi serve per uscire da impaccio. Per riaffermare l'autorità insidiata dalla critica insinuante o dal sospetto di impazienza, se non dedico ad ognuno il tempo giusto.
Ecco, diciamo che è tutto una questione di tempo: bisogna dedicare ai ragazzi il tempo giusto e nemmeno un minuto in più. Tu mi dirai: ma debbo dirti io che sto a Derry e non ho mai visto la tua fanciulla quanto tempo dovrai trattenerla a casa tua - a casa tua! -, quando verrà all'appuntamento che le hai dato? Mi dirai pure: ma non sei impegnato con la tua Martina? non sei felice con lei? che c'entra questa, ora? Oppure, con la tua simpatica volgarità, mi suggerirai pure di approfittare dell'occasione, perché non mi si ripresenterà tanto facilmente...
Dopo avere scartato tutto quello che precede, andiamo al dunque! Lei mi si presenta dolce e gentile - già questo mi fa star male! - e mi parla, a pochi centimetri dal viso, del mio stile, delle mie mani, che lei segue ammirata. Mi ha già detto che una donna riesce meglio di un uomo a comprendere un'anima dalla voce. E lei ha colto nella grana della mia voce non so bene cosa: pare che voglia parlarmene quando verrà, perché è convinta che quando io suono ci metto anche la voce! Lei non riesce a separare la mia voce dalle mani. Mentre io suono, lei sente la mia voce. Deve avermi spiato: non ho mai parlato prima con lei!
Il quesito che ti pongo è il seguente: debbo preoccuparmi della mia voce, che possa essere trapelato qualcosa di me che lei ha colto e che potrebbe usare per legarmi a sé? Perdona la mia ingenuità, ma qui ne va della mia libertà. Questa dice che sa di me cose che io stesso ignoro!
Sai bene quanto io sia schivo. Ho sempre difeso bene la mia intimità. Come si fa a nascondere la voce, quello che la voce tradisce? Evidentemente, è impossibile! Siamo di fronte a un paradosso: passiamo inosservati di fronte al mondo, grazie alla sua distrazione endemica e cronica. Ci lamentiamo, addirittura, perché nessuno ci nota. E cosa ti deve capitare! che arrivi fresca fresca - come si dice dalle parti di Tolentino - un'Amazzone gentile, che rischia di trascinarti sul suo cavallo e di portarti via! Fuor di metafora, qui non si scherza! Ci sono i sentimenti a farla da padroni. Stai fresco a dire "vita schiva"! quando meno te lo aspetti, arriva qualcuno che, senza chiedere permesso, è già installato nella tua anima. E non parlo dell'anticamera.
Sentirsi raggiunti nei recessi della casa, dove sono custoditi i simulacri di coloro che ci hanno preceduti, e magari sentirsi dire che quell'ambiente è familiare, come se in altri tempi pure qualcuno vi entrò e ricevette conforto alle più temerarie imprese, non aiuta a star bene. La fanciulla quasi mi sta dicendo che io le ho permesso di entrare: la porta era aperta. Ma non è stato Melville a dire nel suo Moby Dick che l'anima non ha finestre?
Insomma, che debbo fare? Scappo a Derry? Mi do malato? Oppure, me ne sto impassibile ad attendere, magari permettendo a quella giovane divinità di fare scempio di me, perché sotto sotto è quello che voglio? Cos'è questo che dico? Ho sempre pensato che non bisogna andare dove ci porta il cuore! dobbiamo essere noi a governare i nostri affetti e non lasciarci travolgere mai!
E' veramente così? Se in un giorno d'estate, mentre distrattamente ci accingiamo a radunare le nostre cose, dopo una performance più sentita del solito, perché meravigliarsi se l'anima, ancora beante, si apre a nuove evidenze e dice sì a una fanciulla fasciata di luce, venuta non si sa bene da dove, ma consapevole di sé e del suo potere sul cuore, sul nostro cuore, che ha colto in un momento in cui non era avvertito e compreso di sé, e si mostra per niente disposta a sostare sulla soglia del mistero, ma è già pronta a squarciare il velo che ci separa dall'incanto? Se non sappiamo bene nemmeno noi a cosa bisognerebbe dire no, perché temere un sì che ci staccherà dalle nostre eterne esitazioni e ci lascerà assaporare il nuovo che avanza e che chiama noi, solo noi?

*

martedì 5 luglio 2011

Anche qui

*

Caro Dario,

dopo il mio ultimo post che sembrava l'elucubrazione notturna di persona triste e solitaria - un monologo alla Luna - ti sarai preoccupato di me e giustamente mi hai inondato di Irlanda e di Derry e di musica e di tutto il resto. Ma non credere che qui io mi sia rinchiuso in una vita monotona e senza gioia. Tolentino non è Derry, mi dirai. L'Italia della spazzatura a cumuli di Napoli e gli scandali nella vita pubblica ti faranno pensare che siamo messi male. Tu sai altrettanto bene, però, che la vita trova sempre i suoi varchi per poter durare ancora.

Una professoressa di Liceo racconta periodicamente una storia per illustrare l'idea che la poesia sopravvive a tutto. Tra le sue studentesse ce n'era una particolarmente malinconica, che se ne stava appartata per la maggior parte del tempo. Quando arrivò il giorno del ricevimento dei genitori, provò a descrivere alla madre quello che vedeva in sua figlia, per comprendere meglio la ragazza, magari ricevendo in dono dalla madre qualche informazione in più. Con sua sorpresa, invece, si trovò ad essere letteralmente rimproverata perché non comprendeva cosa fosse l'età di quella ragazza. La madre rievocò la sua adolescenza e quella di sua madre, che le raccontava di quando la città era sotto i bombardamenti nemici. Ebbene, lei ricorda quel tempo - che pure era di guerra - come il più felice della sua vita.

Tu mi dirai: che c'entra tutto ciò con le cose che dicevamo? C'entra, c'entra. Tu credi che la spazzatura e gli scandali di un miliardario impenitente fermeranno il nostro amore per la musica? che ci impediranno di approfittare di tutte le feste di paese, tra Tolentino e tutto il resto, per tornare a incantare il pubblico con la musica di sempre? Io lo so che tu mi vorresti lì, magari al posto tuo, perché pensi che tanto jazz irlandese farebbe più bene a me che a te, ma anche qui, credimi!, la vita non è meno lieta e scanzonata. Pensi che non abbiamo birra di qualità? che le ragazze se ne stiano chiuse in casa e non contribuiscano per niente a fare di una calda notte di estate l'incanto lungamente desiderato, con balli e cantate a squarciagola, per ricoprire il chiasso della spazzatura e di tutto il resto? Verrò a Derry, verrò! Quando meno te lo aspetti, ti telefonerò e ti dirò: prenota! preparati! arrivo!

E’ vero, sono un po’ triste, perché è morto Benedetto, un giovane writer malato d’amore. E’ andato a schiantarsi con la macchina contro un muro, dimentico di sé e forse distratto dal miele delle ultime parole della sua ragazza. E’ per questo che non ho risposto subito alla tua. Si firmava SLAP. E’ stato un mese durissimo, per me. Questa morte non è stata come quella di tanti altri. In tanti trepidavano per lui. Se n’è andato proprio quando sembrava che il tepore dell’aria invitasse di più ad uscire la sera. Che idea morire di giugno, quando a tarda sera le cicale si apprestano come ogni sera ad improvvisare per noi il canto più alto e più forte. La vita non dovrebbe forse assordarci così, ogni volta, per sconfiggere silenzio e morte?

*

lunedì 30 maggio 2011

Dear Marco, Hiya, what’s the craic?






*
Dear Marco
Hiya, what’s the craic?

Di tutte le espressioni con cui un irlandese può esibirsi nella grande arte scenica del saluto, hiya-how-is-it-going-what’s-the-craic è quella che preferisco. A volte dicono hi, a volte hiya, seguiti da
How is it going o dall’ancora più tipico what’s the craic?
Insomma: ehi tu, ciao come stai?
Qui tutto bene!

Come è andata la Pasqua? E l’escursione alle Grotte di Frasassi? Vi siete persi? Io la pasqua l'ho festeggiata tra gran pranzi a casa di un mio amico italiano (Lorenzo il Magnifico) che era partito con me e che è diventato qua uno dei miei due migliori compagni di sbronze intergalattiche. E’ stato bello perché vive con delle studentesse francesi di origine africana che hanno amici che hanno figlioletti saltellanti con cui ho giocato tutto il pomeriggio beccandomi anche parecchi calci negli stinchi, anche…

…E poi ti sei di nuovo perso l’aria di jazz fratello! ’Sto primo weekend di maggio la città l’ha passato all'insegna del Jazz Festival. Pensa, dinosauri del jazz venuti da tutto il mondo per ritrovarsi nella più sperduta contea nordoccidentale dell’(ancora) Impero Britannico di Derry, a salutare il fiume Foyle, che con il suo odore vagamente putrescente avrà riportato la loro memoria indietro ai tempi della cara vecchia New Orleans. Ogni pub (che come già sai in città ce n’è uno ogni mezzo abitante) ha portato musica dal vivo dall’una del pomeriggio all’una della sera... anche le band locali hanno offerto il loro repertorio riadattato in chiave jazz, anche se magari in genere suonano punk, folk o metal.
Io, e il jazz…!?!? Qui c’è qualcosa che non quadra, dovresti essere tu al mio posto. Ma ci pensi?
...Se penso a te in Italia col suo solito clima di stress, la maleducazione delle persone, il clima politico da Banana Republic, come dicono qua…

…E comunque non ci penso mica a tornare! Sappi che l’Irlanda mi ha stregato una volta di più. Erano mesi e mesi che non si vedeva la “bella stagione”. Credimi: quando qui spunta il sole non c'è proprio paragone con l'inverno, perché anche se Derry è sempre “calda” grazie alla sua gente e alla sua storia, in questo periodo di sole tutti erano di umore altissimo, davvero rilassati, per quanto a mia memoria lo siano sempre stati, anche più del solito, e sorridenti, divertenti più che mai. Pensa che nessuno di loro ci credeva: c'è stato il sole per ben due settimane e solo qualche rovescio. Questo li ha riempiti di endorfine e cose varie. Addirittura verso dublino e un po’ in tutto il sud ci sono stati degli incendi, il che ha dell'incredibile in Irlanda!

E poi c’è stata aria d’elezioni in questi giorni. McCann, attivista sin dagli anni sessanta, bhè, lui s’è ricandidato, avresti dovuto vedere i manifesti, che forza! Stava tutto preso ma purtroppo nonostante il suo quasi secolare impegno sociale, trent’anni di marce per diritti civili sulle spalle, niente! Nemmeno questa volta: nemmeno un seggio a Stormont, il Parlamento dell’Irlanda del Nord.

Dannato musicista dei miei stivali! Ma che fai ancora là, sbrigatiiiiiiiiii che qui c’è sempre spazio per la musica, la gente quasi che ci vive, con la musica!! Fammi solo sapere quando, e te lo giuro fratello ti organizzo un comitato benvenuto da paura!!!


Slan!

Dario, your brother

*

domenica 1 maggio 2011

Mancati incontri

*
L'arcipelago delle nostre emozioni ci appare dagli incerti confini. Non tanto, sconfinato. Né illimitato. Piuttosto, ci sembra di stare al centro di un territorio di cui non riusciamo a vedere fin dove si estenda e quali siano i passi indispensabili per procedere. Sono le nostre scarpe che non conosciamo. O meglio, non sappiamo bene dove ci porteranno i nostri piedi. Ma sappiamo bene che, in realtà, i nostri piedi vanno dove li sospinge il cuore. E il cuore? Non è forse intriso di pensieri? Tutti i moti della nostra anima non sono forse preceduti a accompagnati dalla nostra riflessione continua? Possiamo anche non riflettere! Vorrà dire che seguiremo i pensieri di qualcun altro, magari quelli che ci risuonano nella mente e che provengono dalle mille cose udite... Saranno allora le nostre credenze a prevalere e a guidarci.
Ma nelle cose del cuore, che sono poi le cose che si riferiscono ai nostri rapporti con il mondo, con gli altri, che cosa renderà possibile il compimento? E che cos'è compimento se non l'apertura al possibile, il mondo sconfinato delle nostre possibilità, che è il mondo della nostra libertà? All'incrocio tra due vie del cuore cosa troveremo? Smarrimenti, turbamenti, incertezze, ma soprattutto belle illusioni. Ci acconceremo a credere che la persona che sta lì davanti a noi sia interessata a noi, perché ci sorride, perché considera con attenzione le nostre cose. Quando interverranno fraintendimenti e incomprensioni, sarà il momento della verità.
Gli umani sono portati a credere che la verità sia il fatto accaduto ieri alle cinque. E' esattamente quello che ci è stato riferito. O quello che hanno visto i nostri occhi. Potremo dubitare dei nostri occhi? Ma siamo sicuri che la realtà in cui l'altro consiste corrisponda perfettamente alla nostra percezione di un fatto, di un evento e basta? Un mio vecchio amico filosofo mi ha insegnato una cosa sola, che lui esemplifica con le parole di uno scrittore, il viennese Hugo von Hofmannsthal: "La verità è il tono di un incontro".
Allora, non l'ostinato chiedere e recriminare su quello che è accaduto ieri alle cinque - come se la verità fosse un fatto! - vale nelle nostre relazioni umane, ma quello che c'è effettivamente tra di noi, ciò che sta accadendo: l'incanto dei giorni, il valore del reciproco cercarsi e trovarsi. Ma è facile incontrarsi? Ci incontriamo veramente?
Una professoressa della mia città mi ha detto con semplicità un giorno, come se non stesse dicendo niente di sconvolgente: "Un'altissima quantità di incontri umani viene distrutta da una scarsa tolleranza agli equivoci". Fraintendimenti ed equivoci sono fruttuosi: si potrebbe dire che da essi dipende una buona porzione della nostra vita. Quanto tempo, infatti, 'perdiamo' nei chiarimenti, nello sforzo incessante di fissare il significato da dare alle parole? Ma nel farlo, quanta umiltà e pazienza e compassione sono necessarie! Ciò che non riusciamo a fare bene è andare al cuore delle cose.
Il cuore della cosa stessa – la realtà dell’anima, la sua vita, le forme del suo sentire – è storia, narrazione, racconto, vicissitudine, incanto. Dentro il flusso della vita, nel caotico succedersi dei fatti quotidiani, non cerchiamo un Oriente: sappiamo di dover consistere nel magma indistinto, cercando appigli, file di continuità nella catena dei frammenti, riconoscimenti, la ‘salvezza’ delle cose oltre il loro svanire. Noi cerchiamo di risalire, oltre il disincanto del mondo, all’autentico dispiegarsi dell’esistenza umana.

Ciò che pregavi con amore,
che come cosa sacra custodivi,
il destino alle vane ciance umane
ha abbandonato per ludibrio.

La folla entrò, la folla irruppe
entro il sacrario dell’anima tua,
e di misteri e sacrifici ad essa
aperti tu arrossisti tuo malgrado.

Ah, fosse mai che le ali vive
dell’anima librata sulla folla
potessero salvarla dall’assalto
dell’immortale volgarità umana!

Fëdor Tjutcev


Questi versi rendono bene l’idea di ciò che si dà quando si superi la linea di confine che separa dall’invisibile: l’accesso a quest’ultimo non è ingresso letterale, effettivo, l’affacciarsi determinato al senso dispiegato delle cose. Il contatto con l’anima e con il corpo dell’altro non è possesso. Non di un oggetto si tratta, infatti, ma di un soggetto che si dà per ritrarsi subito dopo, per pudore, perché sia salvo il nucleo di sé dall’oltranza della bellezza. L’insistenza del pettegolezzo e dell’insinuazione, come la rivelazione di segreti lungamente custoditi nell’anima, ma anche – più semplicemente – il tradimento dei sensi nascosti di una vita, che era stato consentito di conoscere per privilegio o per amicizia, tutto l’intrudere, l’invadere, l’irrompere scomposto e ‘non autorizzato’ è far precipitare nel disincanto una relazione non importa quanto profonda e importante.
Stare ‘al di qua’ è contemplare l’incanto delle cose. Anche l’amore non dovrebbe essere stropicciato. La manutenzione degli affetti prevede cura e attenzione, certo, ma anche distanza e rispetto.
L’arte di fare passi indietro andrà ‘coniugata’ adeguatamente da una parte e dall’altra con accettazione e perdono, con l’arte della redenzione del ‘così fu’: contro la malinconia, che tende a far precipitare nell’irredimibile torti e incomprensioni, occorre elaborare in ascolto l’accaduto, prevedendo l’approdo a un’innocenza seconda che non è impossibile attingere, oltre l’errore e la dimenticanza.
L’imperfezione dei nostri strumenti umani è colpa. Solo prudenza e pazienza, umiltà e accettazione potranno impedire il perpetuarsi dell’errore e il rischio della caduta nella confusione dei sentimenti, che si traduce nell’incapacità di percepire il valore di ciò che ci sta più a cuore. La colpa più grande è, tuttavia, perdere di vista l’incanto delle cose, accostarsi ad esse con distrazione e scetticismo, incuranti della fragilità delle esistenze che popolano il mondo intorno a noi.

*

*