Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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mercoledì 29 settembre 2010

Le nostre voci

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Per tutto questo tempo non ho allontanato gli occhi / dal mio sogno lontano, / dalla mia casa vicino al fiume, / dalla mia infanzia vicino al fiume, / dalle finestre della mia stanza che davano sul fiume di notte...
FERNANDO PESSOA

Delle cose che scandiscono il tempo e che servono ad arredare il paesaggio interiore io considero la voce di mio padre la più importante. Mi hanno fatto credere in tutti questi anni che il padre è assente, che delega alla madre l'educazione dei figli, che è sempre stanco e che non parla quando dovrebbe parlare...

Spiegatemi voi, allora, come sia possibile il fatto che è presente in me, che io senta la sua voce risuonare in me come un'ingiunzione del cielo! Non un comando, ma un fermo parlare che scava dentro, fin in fondo. Se dovessi decidere sulla questione più grande, se io sia solo o se la mia vita sia riscaldata da valori indistruttibili, non esiterei a dire che un punto fermo, in mezzo alla deriva del tempo, c'è senz'altro. E' lui l'Indistruttibile, per me.

Uno scrittore francese scriveva anni fa su una rivista letteraria, in un breve saggio dedicato al Sacro: "Il sacro era il cappello di mio padre appeso nel guardaroba all'ingresso di casa...". Perfino i suoi oggetti assumono ai miei occhi un significato importante e un valore.

Le sue parole non sono poche né senza forza. Al contrario, io le attendo con ansia e con segreto stupore. "Cosa mi dirà?"
Delle attese che la vita ci riserva ogni giorno e che ci mette davanti come prove, c'è questa attesa. Della sua voce. Si potrebbe dire che l'amore che 'passa' tra un figlio maschio e suo padre è tutto in questo segreto corrispondersi.

Lui sa di me. Lo sento. E' come chi non ha bisogno di dire subito tutto quello che ha da dire. Lui sa che può parlare a me in qualsiasi momento. Quando il frastuono è cessato. Quando le infinite voci della vita e il chiacchiericcio cessano, allora si avvicina a me. Nessuno si accorge di questi semplici gesti del cuore. Assente lui?

La forza che mi dà uno solo dei suoi gesti è sufficiente a farmi camminare per settimane e mesi poi. Forse è lui che placa l'antico fermento che è in me. Lui rasserena e calma i palpiti del cuore in subbuglio. Inizialmente, è lui stesso a generare affanno, ma subito si sciolgono i grumi di dolore che il tempo sedimenta nell'anima, non appena si gira verso di me e vede me, proprio me.

Non sono indifferente a nessuno dei suoi gesti. Tutto è prezioso e raro. Quando vuole sapere di me, è timido e scontroso. Anche lui deve uscire da un guscio ben duro. Mi sono chiesto spesso da dove venisse la mia invincibile timidezza, ma lo sapevo già. Mi sono anche ribellato alla vita, quando mi è sembrato di essere come lui: non mi piaceva somigliargli proprio in ciò che mi turba di più. Ma oggi vedo più chiaramente nelle cose. Anche un elemento di 'debolezza' può essere trasformato in virtù. E' stata chiamata vita schiva questa intensa maniera di esistere.


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lunedì 27 settembre 2010

Errante radice

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Angustia della mente, apatia dei sensi, aridità del cuore sono sofferenze psichiche, disagi esistenziali che dipendono dai nostri conflitti interni? E se invece fosse proprio la nostra visione del mondo troppo angusta, troppo sclerotizzata ad impedirci di trovare un senso per la nostra vita e buone ragioni per vivere bene con noi stessi?

Quando penso a mia madre e a mio padre, agli ottanta kilometri che ci separano, non penso che quello spazio ci divida: è solo una distanza geografica che riesco a colmare bene con la mente. Li sento vicini. Io sono lì, accanto a loro. Sento le loro voci risuonare nella vecchia casa paterna. Il pensiero corre spesso ai ricordi della prima infanzia, ai ricordi più antichi e a tutte le cose belle che aiutano a riscaldare le giornate. Da Tolentino ad Ancona corre la stessa distanza che separa Ancona da Tolentino. Io so che anche per loro non è difficile raggiungermi, toccare il mio cuore.

Ma cosa credete che mettere in musica emozioni e affanni sia impresa astratta? una questione di note e di tastiere e basta? Ci portiamo dietro ogni sera i fanciulli che siamo stati, le ansie e le paure, tutto il fermento, l'antico fermento che ci fece affacciare alla vita timidamente prima e che poi ci fece sempre più convinti che c'era posto anche per noi.

Posso anche occupare da solo un'intera casa a Tolentino, con una stanza vuota ancora, senza per questo sentirmi senza radici e sbattuto nel mondo spaesato e smarrito. Ho le mie radici in una casa rivestita di mattoncini colorati a festa, dove è facile sentire il profumo del tiglio in fiore di mia madre. Ad ogni gradino delle scale che portano alla sua casa, una pianta, a scandire la vita, gradino per gradino, come un lungo grazie, una muta preghiera. E le stanze arredate tutte di vita: altre piante, tutte vive, da lunghi anni al loro posto, curate con la stessa cura che viene riservata a tutti noi che ci siamo allontanati da lei senza strappi o astratti risentimenti.

Il filo sottile che ci lega è stato intrecciato da lei con la dolcezza del suo cuore, con i suoi lunghi silenzi che segnavano severamente la sua presenza quando il nostro cuore discordava dal suo. A lei tornavamo sempre in umiltà, per ricongiungerci alla fonte di tutti i nostri sentimenti buoni. Lei ci insegnava ad amare suggerendo la mitezza del cuore. Ci diceva soltanto: siamo noi! siamo noi che diamo valore alle cose! Il nostro amore è il nostro amore. E' l'amore che noi diamo agli altri. Non ci diceva mai che l'amore deve essere ricambiato. Che bisogna chiedere, addirittura pretendere qualcosa in cambio. Era convinta che l'amore viene ripagato sempre.

A sentire il suo sempre, il cuore mi fa male ancora, perché la mia vita forse non è andata esattamente come la sua. Non che io non abbia avuto fin qui cose belle dalla vita! Ma è il mio cuore che si fa aspro a volte, che recalcitra contro il Destino e che non sa rassegnarsi a chiedere, magari senza chiedere, l'amore che ha sempre ricevuto senza chiedere. Forse, è proprio questo l'errore nascosto nel suo amore: credo che mi abbia amato troppo. Non mi ha fatto mai mancare le sue cure. Io oggi sono qui, compreso di me, certo, consapevole e saldo nelle mie convinzioni, ma errante radice, un cuore diviso tra una casa di mattoncini colorati a festa e l'appartamento senza gloria di questa città dell'interno in cui non rifluisce mai il profumo di un tiglio in fiore.


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domenica 26 settembre 2010

Congedarsi da Eros?

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e stupisco che l'amore / abbia questo volto interno (Mario Luzi)
Se l'età ulteriore della vecchiaia arriva a concepire dell'amore soprattutto la vicinanza, la conversazione, il tacito accordo dei cuori, come può contemporaneamente riguardare l'eros, la passione, il desiderio come ostacoli, soprassalti e basta? Il tumulto e l'affanno, le lunghe attese e gli aspri rimproveri dovranno tacere per sempre?

A volte, sembra di cogliere una rinuncia ai richiami del corpo - la carne non c'entra niente! -, forse perché il pudore prende il sopravvento. Non avete mai sentito un'anziana signora - ma, spesso, anche qualcuna di mezza età! - dire quasi inorridita del marito, del compagno o di un malcapitato corteggiatore: pensa ancora al sesso? e la voce farsi cavernosa e l'espressione del viso quasi disgustata?

Io sono portato a credere che nelle cose d'amore, a tutte le età, si senta il peso dell'educazione ricevuta, a cui aggiungerei il sentimento della vergogna che alcuni provano acuto, fino al punto che sono frenati, intimiditi dagli impulsi più innocenti.

E cosa dovrei dire allora di me, del mio ostinato procedere, sempre preso da "una fanciulla folle di miele", che non disdegna baci e carezze e che si chiama Martina? La mia donna non è né angelo né signora del mio cuore. A lei non dirò mai la mia venerazione con le parole del poeta Rilke: "io sono la rugiada / ma tu, tu sei / la pianta"! Come se a questa condizione soltanto si potesse dire l'amore puro e sincero! Non posso metterla al di sopra di tutto, anche se è al primo posto tra le cose che hanno valore.

E' l'insicurezza personale che genera l'enfasi e la retorica dei sentimenti. Chi sa di sé, chi conosce il proprio cuore non vacilla. Non ha bisogno di rincorrere capricci e oscillazioni del cuore. Ogni giorno ha la sua pena, certo, ma non si vive delle infinite pene del tempo. Un'espressione scritta su un muro, che risale a qualche anno fa, mi accompagna sempre: "Chi non ricorda il bene che ha ricevuto non spera". Espressione bella e terribile. Io ricordo l'amore di Martina. So di lei, ma soprattutto non dubito dei miei sentimenti.

Si potrebbe dire di un amore che dura che è il vero indistruttibile nel tempo. Esso può ben durare oltre la morte! A Tolentino c'è una vecchia signora che tutte le mattine parte a piedi da casa sua e se ne va al Cimitero a trovare suo marito. Lì c'è una sediolina, sempre lì, vicino alla tomba del suo Francesco, dove siede e passa il giorno a parlare con lui. Nessuno ha mai visto le sue labbra muoversi, ma io ci giurerei che gli parla. Potrebbe un amore così grande esser muto?

Immaginate ora un profumo di donna, delicato e penetrante, sempre lo stesso, e le mani che cercano le mani, e la pelle, e gli abbracci, e tutto il resto. Immaginate questo e immaginate pure ogni volta uno sciogliersi dei grumi di dolore che si diffondono nel corpo e nell'anima portando neghittosa tetraggine e angustia della mente. Immaginate i risvegli accanto a quel corpo di cui non c'è niente a noi più familiare. Ma immaginate pure le pause della vita, le assenze e le mancanze di cui è impastato il tempo mondano. Non correte forse a cercare ancora quel profumo e quella pelle e quelle mani e gli abbracci e tutto il resto, dimentichi dei sospiri e delle lunghe attese e dei risentimenti del cuore? Non vorrete giacere per sempre accanto a quel corpo che è più che corpo per voi, perché vi parla ogni volta di nuovo dell'incedere solenne delle stagioni e del congedo del giorno e dei crepuscoli, uno per uno, sempre diversi per voi, come il soffio della sua voce che non cessa di dire il suo stupefatto amore?


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Al di là del ponte

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"... perché niente dura per sempre, / nemmeno la fredda pioggia di novembre ..."

Cosa dire, caro Brother, della tua lunga lettera! Ci vorrebbe una lettera di risposta per ognuna delle cose belle che dici, come delle sottili ironie e delle notizie della tua Derry.
Ti dirò solo che quel fiume di cui parli e che divide dovrebbe essere scavalcato più e più volte. Ci vogliono ponti da gettare ma anche 'pontefici', facitori di ponti, chi decida perché e dove costruirli. Non ti fa male al cuore vedere che è sempre così? che il confine segna soltanto dove iniziano due Patrie che non si incontrano mai? Io sono 'costruttivo' per natura, come ricorderai. Non sfottere, adesso: non ho detto che sono un Pontefice...! Ti conosco.

Sai chi mi ha cercato sul web? Una signora serissima, che presenta il suo nuovo libro, "Lo Zen del gatto", il 9 ottobre, a Milano. Sai come anticipa il contenuto? con queste parole:
Un libro sul gatto? Come mai? Io-purtroppo-non-gatto qui in clausura a pensare e ripensare e a scrivere: lui mi mostra placido come si fa, a stare dalla parte di quel che c’è ed è come è. E io qui a riflettere su distorsioni mentali e colpi d’aria dell’anima e la nostra inesauribile avversione. Il gattone mi mostra come si fa, è il mio counselor silenzioso. Sta con me, non con l’idea che si è fatto di me. E’ il mio maestro, il sì dell’esistenza.
Uno che prende sul serio i gatti come lei le ha risposto:
Solo la distanza mi impedirà di essere presente. Già le informazioni che accompagnano l'annuncio di questa Presentazione invitano a considerare sotto altra luce il gatto, il proprio gatto, ma poi tutti i gatti e l'intera gattità.
Io ho sempre sospettato che sotto l'apparente indifferenza del Nostro ci fosse altro. Quando Micia si accovacciava sulle mie gambe, spalmandosi tutta fino a me, nei pomeriggi d'inverno in cui mi stendevo sul letto, non era solo gesto strumentale: per il calore del mio plaid... Lei partecipava delle mie elucubrazioni del giorno, procedendo indisturbata con le sue. La vedevo assorta e in abbandono: godeva. Si stava rilassando. Assecondava l'onda.
Ora io domando a te, che viaggi e che conosci il mondo: può risultare facile comunicare con un gatto? Non dico: avere uno scambio. Non si è mai visto! Ma, interpretare una faccia sempre uguale, inespressiva, come un essere capace di autoconcentrazione riflessiva? Quei due mi fanno sentire meno di un gatto! Non che io non sappia concentrarmi sulle mie cose! Non dico questo. Però, io noto sempre di nuovo con preoccupato stupore come il genere umano passi il tempo a comprendere i silenzi di un gatto e non faccia nulla per gettare un ponte che serva ad abbracciare i propri simili che magari sognano la stessa cosa dall'altra parte, specialmente in giornate uggiose come questa, in cui sembra che il Cielo non abbia nulla di buono da promettere, se non un altro interminabile inverno.


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mercoledì 22 settembre 2010

Novità dal fronte nord occidentale: The Craic is always good

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Ho appena ricevuto una lettera da Derry, da mio fratello Dario.

Della serie: “scende la pioggia ma che faaa…” - Hai presente quella canzone?

What’s the craic, brother?

No, craic in irlandese anche se si pronuncia “crack” non è una nota sostanza stupefacente, ma vuol dire good time, quindi: come va?

Ora basta con le lezioni di gaelico. Passiamo a cose serie. Prima che il caro fratello popstar che conosco mi risponda, vorrei raccontargli un paio di cosette che capitano qui, mentre lui se ne sta in quel di Tolentino ad ammuffire nella Marca. Chissà che non gli venga voglia di prendere sto benedetto volo! Guarda che qui è tutto pronto, c’è un comodo divano per te, nel sottoscala della mia reggia di great james street (scherzo, una camera con lavandino incorporato, per te questo ed altro!)

Tu non sai cos’è successo l’altro giorno! Ti ricordi quella tipa ungherese appassionata di fotografia dell’ultima email? Siamo stati a Creggan, poi nel Waterside a fare foto… Io non ci ero mai stato nel Waterside, se non col tour guidato della scuola. Davanti ad un murales nel “ghetto” protestante che ritrae un’inquietante regina madre, tre tipi col cappuccio si avvicinano minacciosi e già a me la cosa non quadra. Lei intanto continua a scattare foto mentre quelli avanzano. Capito che quei buoni protestanti non amano gli intrusi, ce la diamo a gambe levate ed ecco che ci vola vicino un mattone! Lei ferma un taxi che quasi ci mette sotto (god bless you!) e via, sani e salvi verso il Cityside. Cuore a mille! Questo per farti capire che qui i “troubles” non sono finiti, 30 anni di divisioni dettate da un fiume, politica e religione non si dimenticano facilmente… Ma questo è il bello: tutto sta cambiando, c’è rinnovamento, si figlia, la gente che ha vissuto un passato così duro… sente che è ora di riprendersi in mano la vita! Altro che l’Italia con Ie sue solite vecchie dinamiche “bizantine”!

Ora cose meno serie: col lavoro tutto bene, ho il necessario per vivere e sto anche mettendo qualcosa da parte (non vedo l’ora di mostrarti la mia pancia da guinness!). Lavoro 6 giorni su 7 (a volte 7), ne vale la pena, mi trovo bene alla scuola, porto in giro studenti, organizzo party... Tra le foto le Giant's Causeway, luogo leggendario,Malin Head, la punta più a nord di tutta l’Irlanda. C’è anche una foto di Derry vista dal fiume Foyle, in gita sul battello. Infine, io e alcuni studenti reclutati da locali che manifestiamo tutti assieme per denunciare le vittime delle bombe intelligenti: qui non si perde mai occasione per dimostrare a favore dei diritti umani!

Sono stracotto! Dormo una media di 5 ore a notte… puoi immaginarti il perché… ;)

E' dura la vita del social mentor!

Pensa sono entrato nelle grazie di quell’italiano di cui ti parlavo, “mr Curotto”, ora mi perseguita! è in gamba e ce la intendiamo, ma è più ammanicato di un orangista.

Gli Irlandesi, gente splendida! Ascolterai la loro musica al Peadar o’donnells o al Sandinos, respirerai l’aria mefitica dei pub, ciondolerai un po’ sotto la pioggia dopo 8 Guinness e ne troverai sempre due o tre ubriachi che fanno a pugni o attaccano bottone offrendoti da bere!

Conosco ormai talmente tanta gente che per strada devo evitare le vie principali o mi salutano tutti e faccio tardi al lavoro...

What the f..k! Mi sono appena ricordato che devo staccare, passo a prendere dei crucchi all’aeroporto per la scuola e sono quasi le 7! Chiamerò il solito taxi!

Scappo

D, your brother

PS: it’s your turn now! e ricorda, se vieni qui nn spendi na lira!



Giant’s Causeway


Malin Head

Cruise on River Foyle - Derry


Marching to Guildhall Square - Derry




martedì 21 settembre 2010

In un'altra luce

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Della bellezza femminile si dice che è fatta di luce. E si è pronti a riconoscere che emana luce anche il volto della propria madre. Nel Medioevo hanno esaltato la luce addirittura metafisicamente. Come se essa fosse una creatura indipendente. Come se nelle persone, segnatamente nelle donne, ci fosse una qualità proveniente dall'esterno, dal Cielo appunto. Non dai cieli astronomici, ma proprio da Dio. E la persona che irraggiava luce era una 'figura' d'altro, significava altre cose. Era creatura essa stessa del Cielo. Era creatura divina.

Oggi che il Cielo è solo cielo e la Donna solo donna, io credo che la bellezza femminile abbia un valore ancor più intenso. Anche la luce della propria madre ha un significato tutto per noi che l'amiamo. Gli altri, forse, noteranno solo il viso 'illuminarsi' in un momento di gioia e basta.

Eppure, ci sono creature fasciate di luce. Se osservate in alcune fotografie di gruppo un viso che sembra sovraesposto, troppo 'bianco', in realtà è più luminoso di altri. Come spiegarsi questo fenomeno, senza ricorrere alla Filosofia? Che cosa significa emanare luce? E' possibile che ci siano dei corpi simili ad altri corpi che, a differenza di tutti gli altri, emanano luce?

Sembra di sì. E non si tratta di un fenomeno misterioso. Se osserviamo bene, ma se osserviamo la vita di queste persone, non solo il viso; se riusciamo a vedere un volto, una vita che si è fatta esistenza, che palpita lì, davanti a noi, trasmettendo sensi alti, un profondo sentire, allora ci sembrerà che quella luce sia più che luce. Essa ci parla di sentimenti animici, di amicizia e di compassione, di devozione fiduciosa e di fedeltà, di amore e pudore.

Allora, lo sguardo ci apparirà sotto un'altra luce. Dagli occhi che si posano sulle cose traspare una mitezza che non è solo arrendevolezza della fantasia, cioè grazia, ma energia spirituale contenuta, misurato respiro dei giorni.

Quando siamo vinti dalla bellezza, è questa luce che giunge fino a noi. Da essa è trafitta la nostra anima.


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venerdì 17 settembre 2010

Io dico Derry e non Londonderry


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Anche da noi ci sono pub ormai in tutte le città medio-grandi. Ci riuniamo in piccoli gruppi, la sera, per chiacchierare e per bere buona birra. In alcuni si mangia e viene proposta a volte buona musica.
Sono andato a curiosare nel web e ho scoperto, ad esempio, il Sandinos di Derry, che mi ha colpito per il fatto che è ritrovo di musicisti. Andrò a vedere se è così. Compare perfino su Facebook!

Mi immagino giovani jazzisti la sera raccolti in un angolo a suonare. E magari si troverà a passare di lì anche mio fratello Dario! Non vorrei sbagliarmi, ma una volta mi sembra che abbia parlato proprio di questo Sandinos. Il fumo dei locali mi accompagna già nel passaggio da un posto all'altro, con il mio lavoro di turnista. Conosco anche le abitudini delle persone. Vogliono essere intrattenute piacevolmente. Buona musica e cibo di qualità!

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Quando dissi alla gente nordirlandese che ero ateo, una donna durante la conferenza si alzò in piedi e disse: "Si, ma è nel Dio dei Cattolici o in quello dei Protestanti che lei non crede?" (Quentin Crisp)

Non c'è nulla nell'intero arsenale militare inglese che riesca ad annientare la resistenza di un prigioniero politico repubblicano che non vuole cedere; non possono e non potranno mai uccidere il nostro spirito. (Bobby Sands)

Io dico Derry e non Londonderry. Conoscerete la disputa sul nome: chi dica Derry e perché, chi dica Londonderry e perché. Non me ne vogliate ma io andrò in vacanza a Derry. Vi apparirà più chiaro questo sentimento, se andrete a consultare la Storia dell'Irlanda del Nord.



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Amarsi veramente

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Da qui a Derry non c'è solo la strada che separa le due città, quella in cui vivo e la patria elettiva di mio fratello Dario. Se accanto a lui c'è una donna, io lo penso felice con lei. Quello che ci separa è spazio che chiede di essere colmato.
Un fratello è come una presenza silenziosa in noi, un amore fastidioso, qualcuno che c'è senza che noi lo abbiamo deciso, che ci turba se immaginiamo trappole e pericoli, come se dovessimo proteggere e difendere non si sa da chi. Un fratello è anche nostalgia a volte.
Della gamma dei sentimenti che proviamo non abbiamo voglia di enumerarne nessuno. Né di starli a descrivere. Ci siamo amati e scontrati, come tutti i fratelli. E ci sembra - anche se non lo ammetteremo mai - che mettiamo facilmente tra di noi grandi distanze, quasi a voler coprire l'eccessiva vicinanza di un tempo.

Ci siamo abituati all'idea che esprimiamo dicendo: "volersi bene come fratelli", ma non è così. Ci accade di amare gli altri, tutti gli altri, che ci accade di amare anche più di nostro fratello. Gli vogliamo bene, ma non abbiamo nessuna voglia di parlarne. Perciò, non parlatemi di lui. Sta lì e ci rivedremo e ne sarò felice, ma poi ognuno di noi due tornerà alla propria vita. Può anche darsi che non ci intenderemo. Le nostre vite hanno preso pieghe diverse. Non diamo tutto per scontato!

Già si dice che siamo diversi. Introverso io, estroverso lui! Figuratevi come sarà facile accordarsi su quello che conta per me, come per lui! Quante volte la storia e la letteratura ci hanno parlato di lotte poi chiamate 'fratricide'? Non pochi fratelli si sono perfino uccisi. Ma cos'è questa specie d'amore che pensiamo esemplare e che prendiamo addirittura a modello per l'amore che dovremmo portare a tutti quelli che sentiamo più che amici o che vorremmo più vicini di chiunque altro?

Noi finiamo per dire "amarsi come fratelli", dimenticando come sia difficile per due fratelli amarsi veramente.


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giovedì 16 settembre 2010

Pensando alla Città Vergine

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Dei vecchi non ti puoi fidare. Voglio dire: delle loro emozioni. Sarebbero pronti a dirti che l'amore è un fardello duro da portare, che può essere fonte di disastri di ogni genere. Io dico che dovrebbero distinguere più coraggiosamente tra i destini personali - quello che la vita ci riserva - e il nucleo degli affetti. Non starò a dire qui cosa mi abbia turbato poco fa. Intendo difendere, però, tutta intera la mia esperienza sentimentale, con le sue luci e le sue ombre. Ma forse è meglio parlar d'altro!


Ieri mi sono ritrovato a pensare al prossimo viaggio in Irlanda, dove andrò a raggiungere mio fratello Dario. Il mio stile lo conoscete, ormai. Debbo prevedere tutto. Non mi piace arrivare impreparato agli appuntamenti. Mi sembrerà sciocco, ma ho chiesto a Google Maps, dal mio 'vecchio' iPhone, il percorso Tolentino-Derry ed è venuto fuori: 2.548, 7 km - 1 giorno e 5 ore, se c'è traffico. Naturalmente, partirò in aereo da Ancona Falconara e atterrerò a Belfast. Indagherò più tardi sulla distanza Ancona-Belfast.


La prima 'stazione', dunque, sarà Belfast, capitale e città più popolosa dell'Ulster, nonché secondo centro più abitato dell'isola dopo Dublino. Non arricciate il naso: si comincia con il motore, ormai, ogni ricerca. Non lo sapevate? Non è mica come ai tempi del Graal!


La prima cosa che mi viene in mente subito dopo è la Domenica di sangue (Bloody Sunday) del 30 gennaio 1972, il conflitto nordirlandese (The Troubles), Derry.

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mercoledì 15 settembre 2010

Non bisogna stropicciare le emozioni altrui!

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Un amico di mia madre, che lavora da anni con i tossicomani - in un Centro di ascolto -, racconta storie da meditare attentamente. Sembra che accadano cose di questo tipo in quel mondo: ad esempio, un ragazzo che sia partito per la Comunità terapeutica magari torna dopo un anno, interrompendo traumaticamente - per sé e per la sua famiglia - il programma con queste motivazioni: "Tutto quello che ho fatto fino ad oggi non conta nulla, non vale a farmi andare avanti. L'ho fatto solo per fare contenti voi." Anche questi sono suoni inauditi. Non vi pare? C'è da far saltare i timpani ai genitori, resi sensibili dal lavoro che fanno nel Centro di ascolto. Essi si preparano ad ogni evenienza, ma soprattutto al rientro di un figlio ormai cambiato, accresciuto dall'esperienza di rinnovamento che dovrebbe generare nell'anima lo spazio indispensabile che faccia da contenitore per frustrazioni e delusioni...

Ma non sempre è così. Nel nostro caso, c'è qualcuno che si ripresenta all'improvviso e che dice cose inaudite. Fare una cosa buona per gli altri, per i propri cari è sbagliato? Evidentemente, sì. Dobbiamo immaginare che una scelta sia cosa a cui si arriva per un'intima convinzione. A me piace dire che l'anima non deve essere 'sporcata', intasata dalle ragioni degli altri, che sono tutte sacrosante, ma che non coincidono affatto con quelle di chi si trova di fronte alla scelta.

Temo che quel ragazzo per tutto il tempo trascorso in Comunità non abbia fatto altro che obbedire a una voce interiore che non era il suo dèmone ma quello di altri. Non affrontava i suoi veri problemi ma pensava soltanto di dover accontentare qualcuno.

Ho ascoltato attentamente in questi anni e mi sono fatto una mia 'cultura' di queste cose. Sento parlare spesso di emozioni e di sentimenti. Noi crediamo di sapere tutto in questo campo, perché ci accade di provare tutto o di fare indirettamente esperienza di tutte le vicissitudini della coscienza, osservando l'esperienza degli altri. Ci sono cose alle quali, però, non diamo l'importanza necessaria.

Consideriamo, ad esempio, il corteggiamento di una donna. Mio padre mi racconta che quarant'anni fa la distanza tra maschi e femmine era grande. I maschi erano aggressivi con le ragazze. La corte era insistente. Erano convinti del fatto che qualsiasi donna avrebbe potuto cedere, di fronte a un corteggiamento ben fatto.
Oggi non è più così. E' cambiato tutto. C'è chi dice addirittura che i maschi non corteggiano più le donne: è come se non sapessero più come si fa. Codici d'accesso dimenticati.

Quando sento queste cose mi domando: io sarei timido? l'imbranato sono io? Ma non vi sembra che ci sia da discutere un po' su quello che sta accadendo? Il mondo non è più quello di una volta. Le donne non sono più quelle di una volta. E nemmeno i maschi. Bisogna andarci piano con le etichette. Sono io che esito? Solo io? L'accesso all'anima di una donna è cosa così facile? Se ne può parlare in un bar, tra un racconto e l'altro delle ultime conquiste personali, come al tempo di mio padre?


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martedì 14 settembre 2010

Di altri dèmoni

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La crescita di una persona è scandita da scoperte improvvise. Della mia timidezza vi ho già parlato. Un bel giorno mi sono reso conto del fatto che gli altri non sanno quello che c'è 'dentro': non possono sapere cosa io stia pensando in questo momento. Ma, soprattutto, non possono avvertire distintamente quello che provo. Certo, è possibile scoprirlo osservando attentamente le espressioni facciali, le intonazioni della voce, certi gesti... Ma la gente, per fortuna!, è distratta.

Il risultato, allora, è questo: 'nessuno' capisce - o meglio, comprende - cosa io senta. Se qualcuno mi fa capire che 'sa', che arriva a sentire addirittura quello che io sto provando o è Martina, la mia Martina, o è un amico. A volte, capita che una persona interessata a conoscermi si metta a scrutarmi, a fare domande. Ma è facile fronteggiare una sola persona curiosa. Ho imparato a sviare chi fa domande.

Così facendo, ora riesco a difendere il mio nucleo fragile dagli assalti esterni. L'analfabetismo emotivo della gente - come lo chiama il filosofo Galimberti - è un vantaggio. La gente è cieca. Non ha occhi per sentire.

Altre scoperte importanti, però, intervengono a rallegrarci e ci fanno sentire che non siamo più quelli di prima. Ci vuole tempo, ma, ad esempio, io sono arrivato a scoprire una cosa che i vecchi concepiscono bene, al culmine della loro vita: l'amicizia è al di sopra dell'amore.

Ho sempre pensato il contrario. La conoscenza personale, cioè la conoscenza di me e delle donne che ho amato, mi ha fatto conoscere i limiti che prima o poi affiorano dell'altro - e i miei limiti agli occhi di lei -, ma mi ostinavo a credere che non ci sia niente di più alto dell'amore. Freud ha scritto che l'amore è un'esperienza delusoria: finiamo per provare delusione di fronte allo spettacolo dei limiti, appunto, del partner. E l'amore non è altro che confermare il desiderio di un 'oggetto' d'amore, a dispetto di quei limiti. Quante volte abbiamo detto a noi stessi che non ci importa nulla del fatto che la nostra donna non sia perfetta? E lei non avrà pensato la stessa cosa di noi? La maturità affettiva è anche questo: saper fare i conti con questo genere di cose. Finito l'idillio - oltre l'innamoramento -, ci ritroviamo soli di fronte all'altro, nella prosa quotidiana. Allora, si sperimenta il vero amore.

L'amicizia è lì accanto. E' quello che resta delle tante amicizie che, dopo la scuola, se ne vanno, una dopo l'altra. Quello che resta, appunto. Gli amici sono pochi, in mezzo ai tanti che crediamo siano amici. Ma l'amicizia nel tempo che cresce si trasforma. Ci accade di scoprire che è un po' meglio dell'amore. Non ci dà pena. Non ci costringe alle infinite spiegazioni. Non ci fa temere la perdita e la mancanza.
Non lo diciamo a nessuno, ma io lo penso veramente e voglio dirvelo qui: per me, l'amicizia è un sentimento da mettere al di sopra dell'amore. Naturalmente, non c'è bisogno di gridarlo ai quattro venti. Né da battersi per l'affermazione di una verità inconcussa. Se vi pare, è così.

Questa scoperta non è destinata a cambiare la mia vita. O forse sì. Ma voi credete che io non abbia detto a Martina quello che penso, quello che sento? E credete ancora che il sentire sia qualcosa che valga di meno del pensare? Il vero sentire - l'ordine del cuore - è attribuzione di valore alla persona su cui è diretto il sentimento. Se dico alla mia donna che c'è una persona che 'vale' più di lei, questo serva a me e a lei per migliorarci, per affinare ancora il nostro sentire. Io voglio che lei non perda valore ai miei occhi e, anzi, che ne acquisti ogni giorno di più.

Voi pensate che la Musica e il Cinema e la Poesia possano servire a questo scopo? Io credo di sì. Se non lo pensassi, non starei qui a parlarvi di me!


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Un 'altrove' da desiderare?

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La vita a Tolentino non è immobile. Per questo, se so che tornerò a viaggiare, non sarà una fuga. Lontano da me non cerco altra vita. Non mi è mai piaciuta l'espressione La vita è altrove. Potrà andar bene per un Kundera che descrive la vita sotto la dittatura, ma noi da che cosa dovremmo evadere? non godiamo oltre misura di tutti i beni materiali che circolano? e se anche non ne siamo possessori, non sono forse lì, a portata di mano?
L’avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è là che ci si mette a rischio. La casa non è un idillio; è lo spazio dell’esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all’errore, alla sopraffazione e all’aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte, talora devastante – per la compagna e il compagno dei propri giorni, per i figli – e la passione coinvolge senza riguardi.
Vi sembra, dunque, che una vita schiva si possa confondere con la misantropia, che la riservatezza e il pudore siano mancanze e non autentiche virtù? Io dico, più che sentimenti. Che ne sarebbe della nostra libertà, se tutti potessero entrare a loro piacimento nella nostra anima, presumendo per questo di conoscerci appieno? E lo stesso amore potrebbe tollerare l'assenza totale di mistero, la pretesa di tutto vedere, tutto capire? Non vi sembra osceno - che significa poi sbattere sulla scena! - affermare che conosciamo bene una persona - ad esempio, la nostra donna - al punto che possiamo dire cosa pensi di una questione ardua e controversa, rispetto alla quale vogliamo solo trascinarla dalla nostra parte? Un filosofo americano ha scritto un libro intitolato "Annullare la distanza uccide".

Non me ne vogliate, allora, se vi sembrerò poco propenso a dire sì ad ogni richiesta, se vi presenterete in una sera d'estate a chiedermi di suonare in un quartetto jazz, solo perché il pianista è malato! Sapete bene quanto ami l'arte dell'improvvisazione, ma non potete decidere voi per me l'ora del mio nascere... Io non so se e quando sarà. Lasciate che sia la vita a farlo. Il giorno in cui dovesse accadere ci ritroveremo insieme a dire che questi giorni non erano stati altro che una lunga preparazione.

Quante volte avete desiderato una donna che poi è rimasta nel numero dei desideri impossibili? E quante volte avete desiderato abbracciare una persona a voi particolarmente cara, ma non l'avete fatto? Chiedetevi che cosa vi abbia trattenuto. Capirete più facilmente allora questo mio esitare. Io voglio poter dire sempre "Sono pronto!". Per questo, ora sono al di qua dello sguardo.


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domenica 12 settembre 2010

Non c'è più la penombra

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Non c’è più la penombra, quella zona in cui cose e persone si lasciano vedere o si nascondono, seguendo desideri, bisogni e senso dell’opportunità. Siamo nell’epoca della rivelazione continua. È la modernità, il tempo in cui, diceva lo scrittore tedesco Ernst Jünger già molti anni fa: «Si direbbe che un’esplosione abbia avuto luogo su tutto il pianeta. Il minimo recesso è strappato dall’ombra da una luce cruda». Si tratta, naturalmente, della «bomba» (o sistema) dell’informazione. È questo il grande riflettore sotto il quale scorrono costantemente le nostre vite e i nostri pensieri. Per le autorità politiche e civili la massima visibilità è un dovere verso gli elettori, in quanto garanzia di trasparenza nei comportamenti legati alle loro funzioni.

Si esprime così lo psicoanalista junghiano Claudio Risé nel suo Diario di bordo del 23 agosto. Ma non è così per noi. Non può essere così per me. Io ho bisogno di penombra. Io la cerco e la trovo. E credo che così dobbiate fare anche voi: si tratta di preservare dallo sguardo insistente e penetrante delle telecamere e dei giornalisti la parte più vera della vostra anima.

Non bisogna dire tutto. Non bisogna svelare i propri segreti. Risé, che è studioso - e terapeuta - dell'universo maschile, parla addirittura del Segreto come del primo valore maschile. Naturalmente, non si tratta dei segreti inconfessabili di chi non è fedele a se stesso!

Custodire il Segreto significa per me rinunciare alla confessione di sé, impedendo perfino alla propria donna di entrare a suo piacimento nella propria anima, per esercitare un possesso che abbiamo definito già impossibile. Non essendo noi oggetti ma persone, riusciremo a far fruttare le nostre relazioni se sapremo difendere la nostra intimità - il nucleo fragile, le nostre piccole viltà, la 'piega' dell'esistenza personale - dagli assalti che non sanno rispettare l'Inconfessabile che è proprio di ogni essere umano e che è custodito dal pudore.

Quest'ultimo sentimento è alla base della nostra libertà e dell'integrità dell'Io. Esso segna la linea di confine tra interno ed esterno. Possiamo anche aprirci - e lo faremo sempre - alla nostra donna. Condivideremo con lei ogni cosa. Ma non diremo mai: Tu sei la signora - la padrona - del mio cuore. Noi vogliamo che lei si prenda cura di noi e che sappia aprire e chiudere il nostro cuore, ma deve lasciarci andare. E' l'amore che lega. Non servono ordini e divieti.

Il tuo più tenue sguardo

facilmente

mi aprirà

benché abbia chiuso me stesso

come dita sempre mi apri

petalo per petalo

come la primavera fa

toccando accortamente

misteriosamente

la sua prima rosa

e io non so

quello che c'è in te

che chiude e apre

solo qualcosa in me

comprende

che è più profonda

la voce dei tuoi occhi

di tutte le rose

nessuno

neanche la pioggia

ha così piccole mani

EDWARD ESTLIN CUMMINGS


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sabato 11 settembre 2010

Pensieri spettinati

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Non si entra con scarpe infangate nell'anima del prossimo. E non serve pulirsele prima.
STANISLAW J.LEC

Voi credete che si possa dire a un musicista "Suona!" in qualsiasi momento? Quando fa più comodo a noi? Certo, se gli date uno spartito e un po' d'acqua per la gola secca, non vi dirà di no, se parliamo di un turnista come me. Ma per un musicista jazz è un po' diverso. E' per questo che ho scritto di me dal primo giorno che c'è qualcosa che mi trattiene. E se ho accennato ad una vita schiva, non l'ho fatto per darmi importanza o perché mi piaccia vivere appartato. Ho tutte le persone giuste intorno a me. Con esse vivo intensamente, senza evitarle mai né fuggire dalle responsabilità.

Ma ci sono momenti tutti miei in cui ho bisogno di fare silenzio intorno a me. (Perfino in mezzo al traffico, poi, non sopporto che mi si dica cosa debbo fare.) Sto già percorrendo una strada. Sono in cammino. Non vi saprei dire cosa, ma c'è un'orchestra che suona. I suoni inauditi stanno lì, in forma di frammenti, ad aspettare. Ritornano ossessivamente, ripetuti e 'tentati' alla tastiera di un piano che non vedo. Non sono in condizione di poter suonare ancora. Eppure, è già musica. E' tormento, certo. Perché non si dispiega compiutamente ancora il 'pezzo', che non è poi ancora brano di alcunché.

Tendiamo all'opera, alle variazioni personali, magari a una semplice interpretazione. Nei momenti di grazia, non è solo un ripassare opere note dei Maestri, in cerca di uno spazio lasciato vuoto, di un'intuizione felice da sviluppare ulteriormente. E' stato di grazia sentire sgorgare dal petto - sì, proviene da lì! - un 'dolce' o un 'aspro' che diciamo improvviso. Ogni volta di nuovo, un improvviso accordarsi felice dei suoni, su cui abbiamo bisogno di passare e ripassare, per fissare quello che, altrimenti, volerebbe via, in uno scarto brusco delle emozioni che si porta via passeggiate lunghe kilometri e kilometri.

C'è un Aperto davanti a me, lo spazio neutro delle possibilità. E poi uno scarto, un'intuizione, un turbamento. Un ricordo. Ancora stupore. E le mani che si muovono da sole, che vanno a dire cosa preme, cosa chiede di esser detto.

C'è da dire la nuvola e il sorriso della propria ragazza e il broncio e il sussurro all'orecchio. Ma, più di tutto, la tempesta e il fragore, l'affanno, le salite impervie in cerca di svolte oltre i valichi. C'è vento. Talvolta, pioggia. Il sereno distendersi del cuore, che si apre a nuove evidenze. I sussulti del cuore. Il silenzio assorto dell'anima. Le lacrime di gioia. La voce di tua madre. La Chiesa deserta. Le chiacchiere degli amici. Con questa orchestra nel cuore, volete che uno come me non sia un po' scontroso, se in una sera più fresca di fine estate si ritrova a dire "no", perché c'è da seguire la propria orchestra o perché non si è 'pronti' ancora?

Perfino gli Angeli esitano!

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venerdì 10 settembre 2010

Le apparenze non ingannano

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Sia crescita, non costruzione! / Per questo scegliesti / il partito delle radici / contro il lastrico delle vie, fossero pure imperiali
Margherita Guidacci

Il senso comune è da sempre portato a pensare che le apparenze ingannano. Se, ad esempio, osserva un comportamento dispiegarsi contraddittoriamente, non assumerà la contraddizione come espressione a volte necessaria della vita di relazione, a cui siamo costretti per dissimulare intenzioni che non possono essere manifestate appieno, per non urtare la sensibilità di una persona o per non contraddire chi è incapace di ascoltare... Basta partire da un 'principio' - non bisogna mai contraddirsi - e poi decidere che la persona in questione ha tradito le nostre aspettative o, peggio, ha tradito se stessa, negando quanto aveva affermato poco fa con altri comportamenti.

Il senso comune separa la pura esteriorità - l'apparenza fisica, il comportamento - dall'esperienza, dall'invisibilità dell'esperienza. Allora, è costretta a chiedersi tutte le volte che osserva l'altro muoversi sulla scena se le apparenze ingannano oppure no: se quello che 'vediamo' è vero oppure no. Così procedendo, è facile essere smentiti dalla realtà. Una nuova apparenza, infatti, un nuovo comportamento facilmente sarà disconferma della persona. Se ci moviamo da apparenza da apparenza - se non avremo mai l'accesso all'invisibile (dell'altro) -, oscilleremo sempre tra quello che ci dice un'apparenza e quello che ci dice un'altra apparenza!

Prendiamo una persona scontrosa all'apparenza come Martina, la mia ragazza. Il metodo è non fermarsi a una 'chiusura' al mondo, che a uno sguardo attento non si rivelerà più tale, ma seguire la traccia che conduce all'anima. Perché Martina è scontrosa? E' veramente scontrosa? Lo è sempre? Lo è per natura? E' sufficiente enumerare le volte che ci apparirà scontrosa per concludere che è persona chiusa al mondo e da questa conclusione far derivare un giudizio che poi non abbandoneremo più e di cui ci serviremo per parlare di lei...?

In realtà, Martina è persona estremamente pudica, che custodisce gelosamente la sua intimità. Posso dire che l'accesso al sacrario della sua anima sia stato da lei concesso solo a me. Io conosco la dolcezza del suo cuore. Il mondo dovrà faticare non poco per non fermarsi a un suo atteggiamento ricorrente che la fa apparire spesso 'stronza', come dice lei di sé, per portare fuori strada le persone.

Se il mistero di un'anima ci può essere precluso per sempre, perché solo l'amore riceverà il privilegio di penetrarlo, più facile sarà 'risalire' da tutti i comportamenti e da tutto ciò che ci è dato percepire all'essenza delle cose, alla loro realtà più vera. Basta non separare apparenza da essenza. Occorre chiedersi sempre a che cosa ci condurrà la nostra osservazione delle apparenze se non le considereremo mai separate da tutto il resto. Esse ci ingannano, se le rendiamo assolute. Ci condurranno a ciò che è più proprio di una persona, se sapremo percorrere tutta la strada che ci aiuta a collegare 'superficie' e 'profondità' delle cose, perché ognuno di noi è persona: esperienza e comportamento dovranno essere distinti ma non separati.

Perciò, vi prego, non dite di me che sono timido! All'apparenza è vero. Come potrei negarlo! Ma credete che io non sia stato capace di trasformare nel tempo questa evidenza della mia persona in qualcosa di più alto, in un'occasione ripetuta per fare di un difetto un pregio, uno stile di vita preoccupato di ciò che c'è di più vero, per non sembrare nemmeno a me stesso la caricatura di un uomo?

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