Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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lunedì 7 maggio 2012

Roba di caffetteria


Per fare un buon jazz occorrono pochi ingredienti: un bar affollato da cui sia possibile osservare gente che entra e gente che esce, gente che passeggia e gente che si ferma a discutere a due metri da te; un allievo disposto a seguire le tue orme e a discutere con te le vicende e gli sguardi e le voci e le storie; un caffè ben fatto, di quelli soltanto che accendono curiosità e scatenano buone intuizioni. Avrete capito già che senza caffè non c'è jazz!
L'umanità si divide in due grandi categorie: quelli che stanno fermi e quelli che si muovono.
Se incominci a seguire un racconto che si snoda tra due che si parlano fitto fitto, non importa se donne, ma che poi si allontanano lentamente tenendo la nota, tu devi seguirli discretamente, per non perderti il resto della storia. Se resti seduto, ti ritrovi dentro il magone per un amore perduto o per un intrigo interrotto sul più bello: niente arabeschi sonori da innalzare nell'aria!
Il passo di danza di una giovane donna dalle gambe lunghe con i tacchi a spillo va  studiato fino alla consumazione della parca colazione, programmata con la medesima cura per non alterare l'equilibrio del rossetto ambrato. I bordi della bocca sono da sfiorare appena. Lo strumento non indugerà troppo sul tema. È un prestissimo da cui congedarsi senza malinconie. La passante ci dona la sua bellezza nell'istante eterno di una citazione musicale.
Il labirinto delle voci che si accalcano tra un angolo e l'altro è la tua orchesta. Altro che quartetti e quintetti! Qui c' è un dispositivo mahleriano con cui puoi scavalcare i secoli e veder morire Venezia! Quando poi ti ritrovi a fare musica house, c'è tutto Mahler che ti si agita dentro, e sberleffi, e sorrisi, camerieri, cassiere. Vorresti stare altrove, magari con uno dei tuoi Maestri, a riempire di suoni inauditi gli interminati spazi e i sovrumani silenzi che ti porti dentro.
Considerate che un buon caffè te lo fai solo a casa tua. E chi uscirebbe, se non mi trascinasse via l'allievo fedele che ha eletto a sua meta ideale il bar che sta sotto casa mia! E' lì che incontro tutta l'umanità, quelli che stanno fermi e quelli che si muovono.



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lunedì 16 aprile 2012

Di acceso stupore un canto sospeso


Alla 'scuola del sospetto' di chi tende a ridurre sempre quel che fai a qualcos'altro che sta dietro, che tu non hai detto, che non pensi e che ti stupisce dolorosamente per la sua pungente cattiveria intendo opporre qui una mia 'scuola del rispetto' di cui è fatta l'umiltà con cui mi accosto alle cose con la mia giovane musica.
Ho contribuito forse anch'io a diffondere un'immagine di me come persona schiva e riservata, propensa al silenzio più che alla chiacchiera disinvolta e spassionata. Io amo invece il chiasso e il frastuono delle case di condominio della mia vecchia città, perché è sempre da lì, dal rumore della vita che palpita che mi sono fatto diapason che vibra, ora in armonia con l'umile splendore della vita quotidiana, ora dissonante, in contrasto con le aspre richieste degli inascoltanti e degli impazienti. C'è sempre chi ti chiede di dire qui e ora quello che hai da dire con il tuo strumento già pronto, come se il cuore fosse sempre già accordato e pronto a cantare per qualcuno! Restituire la festa della vita con un altro timbro e lasciare che le lacrime delle cose parlino per noi, facendoci diventare lo strumento che vibra all'unisono con le lacrime è compito! È in quel canto per voce sola che ho trovato la mia cifra, e con esso ho modulato la speranza segreta e ho dato ala e respiro agli ansiti brevi del cuore, memore di lei soltanto, a lei eternamente grato per lo sguardo benevolo e il balsamo della voce suadente e complice al mattino. Amore è sciogliersi dalle lenzuola gelosi di Copernico; lui, non il marito di una Maria Ivanovna avendo per rivali! E mi sono fatto, così, mite interprete del volto sognante e del passo di danza. Ho dato voce alle linee sinuose del tempo, ai silenzi e agli indugi e al profumo di donna, alle sillabe del piacere e al pianto disperato, quando ero voce sola e non mi rispondeva un cuore al battito dell'ala che accenna al volo e attende il suo tempo per partire.
Per poter stabilire un accordo, per entrare a tempo e restare e durare, non basta essere lì e dire: "Ci sono! Si cominci!", come se di metodo e di nervi calmi soltanto si trattasse.
Qualche volta è accaduto che abbia lasciato morire un'atmosfera magica, creata forse apposta per me, che abbia lasciato solo chi aspettava la nota giusta e la frase e la variazione insistita che esaltasse la ricerca tonale, la cadenza della voce, il carattere lungamente corteggiato dello strumento che risponde alla vibrazione del cuore.
Più spesso mi è accaduto di improvvisare con gli allievi ed è stata la festa della mente che celebra la sua allegria, il nutrimento dell'anima che esulta quando uno sguardo e un invito ad entrare si fanno tempo e ritmo cadenzato e singhiozzo, sospiro, sussurro.
Provateci voi a dire come si esca dal silenzio, per riempire lo spazio tutt'intorno di voci che raccontano a questa voce e a quella la storia che prima di venire vi è stata sussurrata, voce nel deserto, dal vostro cuore! e provate a far capire al violoncello che siede accanto a voi che deve farsi per un po' voce stridula e opaca e poi innalzare al cielo la muta preghiera di ringraziamento per il bene ritrovato! Provateci a tradurre in una frase il timore che accompagna la speranza, il disperato e insistente richiamo d'amore levato al cielo perché le creature dell'aria rispondessero a voi, proprio a voi, con il loro canto e con i voli che riempiono cielo e terra nelle sere d'inverno, quando la legna per il fuoco sta per finire e dovete approfittare dell'ultimo tepore, prima che la vostra donna vada via!
Bisogna essere così, disposti alla cruna dell'ago, flessibili come giunco, rugiada più che pianta, per riuscire a dire, quasi senza aver pensato, quello che il cuore ha sentito in lei, nello sguardo assorto e pensieroso, mentre fuori piove, e il camino scoppietta per voi ancora un po'. A breve sarà di nuovo gelido inverno e aspro rimprovero, perché non provvedeste in tempo a costruire ripari per la stagione che tarda a morire e mentre primavera non dà segni di voler apparecchiare per voi la scena appropriata, dovete trattenerla con la voce e con il canto, quelli avendo come strumento che incanta e fa dimenticare il tempo che indugia, mentre un altro tempo si annuncia da lontano. È in quell'eco indistinta che si giocherà il vostro destino. Provateci voi ad improvvisare per lei il canto appropriato, quando il cuore sconcorda con il suo e non è ora di rientrare nel suo cerchio. A che vale confessare il proprio sbandato errare, e rendersi a lei in umiltà, se il cielo non vi dà il segnale ancora per iniziare?
Il mio indugio è tutto lì, in quel mio morire ogni volta nell'attesa del mio turno. Non potete biasimare il mio indugio qui, davanti alla sua soglia, sempre preso dal fragile patrimonio dei miei sogni!


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