*
All’indirizzo http://breakingrainmovie-marcoserrani.blogspot.com è situato questo blog che ho voluto chiamare Al di qua dello sguardo. Elegia della vita schiva.
Io chiamo ‘sguardo’ il contatto con l’altro: collocarsi ai confini dello sguardo, cioè nell’istante eterno che unisce ma che scioglie anche.
Al di qua si situa Marco Serrani. Apparentemente, prima dell’amore e del dolore, dell’identità e della memoria. Lo spazio breve che delimita il suo modo di consistere sarà dilatato, per dare voce al suo non detto. Dopo tutto, la cooperazione del ‘lettore’, che è alla base del patto narrativo, vale anche per il cinema.
Io chiamo ‘sguardo’ il contatto con l’altro: collocarsi ai confini dello sguardo, cioè nell’istante eterno che unisce ma che scioglie anche.
Al di qua si situa Marco Serrani. Apparentemente, prima dell’amore e del dolore, dell’identità e della memoria. Lo spazio breve che delimita il suo modo di consistere sarà dilatato, per dare voce al suo non detto. Dopo tutto, la cooperazione del ‘lettore’, che è alla base del patto narrativo, vale anche per il cinema.
Ogni viandante è condannato a chiedersi a cosa conduca la scia accennata da lui, quali esiti siano possibili e verosimili. Ma soprattutto, chi sia il soggetto amoroso che parla.
Un’elegia, cioè l’abbandono fiducioso al desiderium, al sentimento ‘luttuoso’ che prende per aver perduto ciò che non si è posseduto mai. Forse, una poetica dell’età irraggiungibile.
Pari intervallo, cioè una distanza che si misura non da me a lei, ma anche da lei a me. E poi, ciò che separa e ciò che unisce non è una linea di confine. Là dove si dà incontro è solo uno sfiorarsi, non esercizio di un possesso, addirittura di un’appropriazione. L’oggetto del desiderio non è un oggetto, bensì un soggetto. Il suo ritrarsi e il suo sottrarsi alla vista non è mero capriccio, né solo gioco d’amore. Non scaramucce né schermaglie su improbabili arene. Lo spazio che ci separa dalla felicità non è terra né cielo, né passato né futuro. Il tempo dell’incontro è più che occasione e fortuna. Lo spazio in cui si consuma il tempo vissuto è sito, incerto consistere, errante radice. Si dà vero incontro là dove la qualità dell’accordo è la giusta intonazione dei giorni. Si può vivere anche nella disarmonia e nel disincanto, ma non al di fuori dell’incanto della voce e del gesto, del volto e del passo di danza con cui si va incontro alla vita per dire sì.
L’intervallo dell’attesa e del silenzio, le pause dell’anima, il perplesso esitare germogliano da un chiaro inizio, dall’intenzione di avanzare nella direzione di lei. La luce del volto e il sorriso fuggitivo costringono a procedere, oltre ogni indugio e sconcerto: l’oltranza della bellezza non consente infiniti rinvii, nonostante il tremendo della sua epifania. Piuttosto, è la giusta attesa il tempo dell’accordo, la qualità del mio in armonia come del suo. Non un astratto corrispondersi qui si dà. Piuttosto, la tacita intesa, la promessa taciuta, la timida ala della speranza che non rinuncia a tessere trame di fumo, arabeschi di luce per lei, perché a sua volta resti impigliata nella rete del tempo, ignara di sé e del suo stupefatto esistere.