Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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lunedì 13 dicembre 2010

Fermare il tempo

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Trascorriamo la nostra vita convincendoci giorno dopo giorno che sia possibile dare ordine al movimento caotico delle cose intorno a noi. Ci adoperiamo per decenni, anno dopo anno, a far sì che l'ambiente interno corrisponda a quello esterno, che ci sia equilibrio e misura in noi. Approntiamo i più raffinati sistemi per realizzare la distanza desiderata tra noi e le cose. Ci sforziamo di applicare gli stessi accorgimenti ai nostri rapporti con le persone. Oscilliamo nelle prime età della vita tra progetto e destino, passando dall'idea che tutto possa essere cambiato alla contemplazione a volte rassegnata che nulla cambi, che le persone non cambiano mai. Ci rivolgiamo agli altri sempre protesi al cambiamento che invochiamo in loro, affannandoci a cambiare noi stessi, dopo avere sposato l'idea regina che siamo noi a dover cambiare (per primi).

L'età adulta e la maturità, che non ricordiamo bene cosa sia, provvedono a renderci realisti, ma resistiamo anche all'idea che ci si debba rassegnare alla realtà così com'è. Accumuliamo sentenze e proverbi sulla vita da utilizzare nelle circostanze più diverse, ricorrendo a massime e frasi celebri che magari contrastano fra di loro. Nei momenti di grande lucidità ci aggrappiamo a una sola verità che pretendiamo definitiva, salvo poi pentirci di aver chiuso la vitalità nostra e degli altri in una formula rigida in cui non è mai saggio chiudere il fiume della vita che si porta ogni cosa con sé. Tra la saggezza di chi contempla immobile lo spettacolo della vita e chi la insegue freneticamente, convinto che sia l'unica cosa da fare - "chi si ferma è perduto!" -, non ci decidiamo mai a scegliere, come se si trattasse di abbracciare una filosofia di vita che finalmente ci renderà felici. Ci spaventa la stasi, l'immobilità, perfino la vita contemplativa, come se evocassero la morte. Non vogliamo star fermi a guardare.

Ci sembra anche, però, che si debba camminare, non necessariamente correre. Ci hanno detto che esperienza significa 'vissuto' ma anche, forse meglio, 'cammino'. Quando cerchiamo autenticità e interiorità, con il lungo corteo delle virtù che si richiedono per poter dire "questo è un uomo", ci aggrappiamo ai 'vissuti', che giudichiamo veritieri. Quando vogliamo crescita e cambiamento, invochiamo la capacità di 'camminare', di avanzare, occupando posizioni 'superiori' rispetto a quelle 'di partenza'. Ci affidiamo per buona parte della vita ora all'una ora all'altra idea dell'esperienza. Poi decidiamo che l'una non possa escludere l'altra. Allora ci adoperiamo per conciliare, raccordare, integrare, sommare. Tutto sembra (più) chiaro.

Resta da decidere del tempo, se debba essere considerato medico oppure no. Se abbia il potere di curare oppure no. Se siamo sempre e solo noi a portare conforto e a lenire il dolore o se occorra avere fiducia nelle cose, nel potere della coscienza, che depura, decanta, purifica, incurante del tempo che pigramente indugia ed esita.

Continuiamo a credere, convinti di noi, che basti stare accanto a una persona, magari in silenzio, per farle sentire che non è sola. Sappiamo per esperienza che è sufficiente questo ed altro ancora, appena una parola al momento giusto, per testimoniare il nostro muto amore. Non intendiamo rassegnarci all'idea terribile di chi richiede infinite prove al nostro cuore, perché mai pago del nostro antico amore.

Abbiamo imparato a consistere qui e ora, presso di noi, in quiete e in movimento, assorti e pensosi, scomposti e aggressivi, agitati e pacifici, aperti e chiusi, esaltati e malinconici, estasiati e atterriti, con le soglie basse e in punta di piedi, come voce d'organo e striduli e straziati e stanchi e protesi a chiedere sempre ancora un po' d'amore.

Ci avevano promesso non so cosa, ma siamo stati avvertiti nello stesso tempo di non illuderci. E ci siamo aperti alla speranza e non ci siamo illusi più.

Ma come si fa a vivere, ditemi voi, senza sognare una voce che parli a noi e uno sguardo che cerchi noi, proprio noi, in mezzo alla folla, e che si fermi a lungo a contemplare noi, proprio noi, realizzando per poco o per tanto che si fermi il tempo, e come si fa a decidere poi se quel sogno debba durare ancora e quanto e se possiamo dire sì e continuare a credere ancora che si può sognare anche di giorno, sicuri che non siano già entrati i ladri in casa a derubarci dei nostri sogni più cari, sbattendoci sulla soglia dimora di prima?

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martedì 7 dicembre 2010

La forza delle illusioni

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Caro Dario,

ti sarà accaduto sicuramente più di una volta di ritrovarti a pensare che una vicenda conclusa, non importa quale, aveva recato con sé un insegnamento: ti eri abbandonato all'illusione; ti eri rappresentata la realtà più interessante e carica di aspettative di quanto non fosse in sé. E' facile parlare delle illusioni, come se riguardassero persone portate a sognare, ad immaginare come vero ciò che non è, a vivere su piani di realtà che poi vengono sconfessati dai fatti. E' veramente difficile ammettere quanto di illusione ci sia in tutto quello che facciamo! Se solo consideri le fantasticherie che precedono sempre l'azione, le anticipazioni di incontri, le presupposizioni su ciò che gli altri sono, e poi l'abbandono fiducioso alla credenza. Non mancano i buoni ragionamenti a sostegno delle tesi più strampalate, anche se poi si scopre che alla loro base non c'era un solido riscontro nella realtà!

Quante volte abbiamo ammesso di esserci sbagliati, di aver fondato anche per anni le nostre convinzioni su idee non provate, su meri presupposti? Ci basta un indizio per arrivare a dire di avere prove sicure sulla bontà di un comportamento, di una convinzione, di un'idea che ci siamo fatti di qualcuno!

L’illuso ignora la realtà nella sua tangibile evidenza, o meglio, non la ignora, ma la oblitera, la cancella, la rimuove, o meglio ancora, non la rimuove del tutto ma la ritiene marginale e di poco conto, rispetto all’evidenza dei suoi sogni, luminosa e quasi corposa. (LIONELLO SOZZI, Il paese delle chimere. Aspetti e momenti dell’idea di illusione nella cultura occidentale, SELLERIO EDITORE 2007, p.16)

Può accadere, certo, che noi elaboriamo il fantasma di un’intesa sublime con gli altri sulla base di spunti in realtà assai modesti, cui attribuiamo significati e promesse del tutto abusivi, così come ascriviamo a noi stessi meriti che non sussistono, e accarezziamo l’ideale ma poi non abbiamo la strenua costanza e l’assidua fermezza necessarie per restargli fedeli. Non traduciamo in nulla i nostri sogni, ci accontentiamo di una sorta di velleitaria nostalgia. […] incapacità di capire il reale, d’intendere che l’“altro” non è affatto tenuto ad adeguarsi ai nostri modelli, percorre le sue vie e compie le sue scelte, che coltiva a sua volta miraggi e progetti assai lontani dai nostri. […] Ogni uomo è chiuso nel bozzolo dei suoi sogni. (p.17)

Ben altra è la natura della speranza: essa ci porta lontano dalle nostre chimere, nella terra incognita che abitano gli altri. Lì siamo al sicuro.

«La speranza è come un ponte che si innalza al di sopra di ogni situazione […]. Come un ponte che ci fa uscire dalla nostra solitudine e che ci mette in una relazione senza fine con gli altri: con gli altri, in particolare, che soffrano e chiedano aiuto; ma, ancora, cosa è mai un cuore senza speranza?» (Eugenio Borgna, L’attesa e la speranza, FELTRINELLI 2005, p.51)

La cultura popolare si abbandona alle sentenze facili, spesso contraddittorie, che si contraddicono tra di loro. Avrai sentito dire "Finché c'è vita c'è speranza", accanto al più volgare "Chi di speranza vive disperato muore"! Quando smettiamo di pensare, finiamo per credere che non sia possibile uscire da quell'antinomia: le due sentenze sono vere entrambe! Il nostro scetticismo sulle cose dipende dal disincanto in cui ci precipitano le nostre delusioni. Come se la vita perdesse tutte le sue attrattive! Ma proprio questo oscillare la Musica cerca di esprimere, senza dare troppo credito alla volgare negazione della speranza. Si potrebbe dire che è il mezzo più importante per dare voce alla speranza.

Il germanista Claudio Magris in un brillante saggio intitolato Utopia e disincanto afferma che utopia e disincanto

«anziché contrapporsi devono sorreggersi e correggersi a vicenda». […] «Il disincanto è un ossimoro, una contraddizione che l’intelletto non può risolvere e che solo la poesia può esprimere e custodire, perché esso dice che l’incanto non c’è ma suggerisce, nel modo e nel tono in cui lo dice, che esso, nonostante tutto, c’è e può riapparire quando meno lo si attende. Una voce dice che la vita non ha senso, ma il suo timbro profondo è l’eco di quel senso». […] «Il disincanto, che corregge l’utopia, rafforza il suo elemento fondamentale, la speranza. […] La speranza non nasce da una visione del mondo rassicurante e ottimista, bensì dalla lacerazione dell’esistenza vissuta e patita senza veli, che crea un’insopprimibile necessità di riscatto. […] Il disincanto è una forma ironica, malinconica e agguerrita della speranza» (p.53).

Io vorrei che tu mi immaginassi così: proteso verso la vita, ma non ingenuamente preso dagli inganni della mente. Sicuramente, fiducioso nella forza dell'ideale, ma con gli occhi spalancati sulla realtà. Esitante e timoroso, a volte, ma assolutamente certo del tuo affetto.

Con questo sentimento, ti ringrazio delle tue visioni della Brughiera di Derry: mi aiuti ad immaginare quello che presto vedrò con i miei occhi. Magari, ci costruirò intorno i miei sogni ad occhi aperti. Questa attesa non sarà sterile né vana: la sorregge la speranza - che è sempre certezza - che tu ci sarai ad accogliermi con la fraternità di sempre.

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domenica 5 dicembre 2010

La forma di un sogno

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Caro Dario,

questa notte ho fatto un sogno di quelli che andrebbero subito sottoposti all'attenzione di uno psicoanalista, perché interpretarlo non credo sia facile.
Ero vicino alla mia donna, quasi dentro di lei, di fianco, leggevo dentro di lei: ho letto un suo sogno, come se lo scrutassi dal buco di una serratura. Lei sognava di poter sognare due o tre sogni, che però erano aggrovigliati, accartocciati, quasi una cosa sola. Lei sentiva che da quei sogni dipendeva una sorta di liberazione sua, come se la opprimesse qualcosa che era racchiuso in quei sogni. Durante tutto il mio sogno, il peso ingombrante dei suoi sogni era avvertito anche da me. Come se io fossi lei. C'è stato un 'lungo' argomentare silenzioso tra me e me su quella massa di sogni. Lentamente si sono distinti l'uno dall'altro. Erano forse tre. Ma non potevano essere sognati tutti insieme. Il dolore forse nasceva proprio dal fatto che erano troppi. Così c'è stato il momento risolutore: mi sono concentrato sul primo, che era all'inizio, come se stessero in fila. Non c'era molto dentro. Almeno così credo. Era come se fossero solo involucro. Masse gommose. Lo scioglimento dell'incubo è arrivato quando finalmente ho separato il primo sogno dagli altri. E' stato come scoprire che non c'era altro da fare. Niente altro da sognare.

Tu forse ricorderai che io non sogno mai. In tutta la mia breve vita, fin qui, avrò sognato due o tre volte. Sarà un periodo brutto questo, se mi ritrovo con questo sogno tra le mani. Ho pensato che per questo forse non riuscivo più a scrivere. Ho fatto passare un po' di tempo dalla tua ultima lettera. Ero come pietrificato da qualcosa. Ora non più. Tornerò a scriverti nel pomeriggio.

Ti abbraccio.

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venerdì 26 novembre 2010

Voci dalla brughiera




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Ho ricevuto poco fa la lettera che segue da mio fratello Dario, ormai trapiantato a Derry. Qui mi racconta di una passeggiata nella brughiera, a Greinan Fort, tra Buncrana e Derry.

Mucker!

Dear Marco,

what’s the craic? Halloween ha bruciato i suoi fuochi e qui è sceso il vero inverno…

Dato che il tempo è deprimente m’è venuta voglia di raccontarti di un giro fatto st’estate.

Io Pablo e Carmela decidiamo di fare un giro in campagna, a piedi. Siamo tutti davvero presi, Roury ci ha detto “andate e seguite quella strada là noi irlandesi camminiamo più veloce di voi ce la facciamo in due ore voi in cinque”. Noi ci organizziamo e partiamo che c'è foschia ma Pablo, la nostra guida, dice che il tempo regge, gliel’ha detto una vecchia di Buncrana e Carmela conferma, a lei invece l'ha detto la vecchia del Sandinos. Zaino e sandwich all'humus direzione Greinan Fort, un’antica rovina celtica, a dir di Pablo tutto bucato sotto. Tombe, mura antiche, una fonte. Si trova tra qui e Buncrana. Pablo va matto per Buncrana. Ci ha anche abitato quando era ancora uno straniero, qui.

Dopo due ore di campagna noi si chiede a un vecchio che tempo farà, Pablo da un po' non fa altro che parlare ai vecchi, e il vecchio ci consola: non pioverà e il forte dista due ore. Manco a dirlo, si vede ’sta collina e ci si arriva in cima in due ore spaccate. Siamo tutti eccitatissimi, Pablo scatta foto quasi avesse il dito automatico, ed io, che mi immagino di essere stato catapultato nel regno di Avalon che c'è la nebbia e corvi e non si vede anima viva in mezzo alla brughiera. Carmela è eccitatissima e trotta allegramente; attenta ai buchi, le dico, che la brughiera è impestata marcia e manco a dirlo inciampa e casca in uno di quei fossi pieni d'acqua detti “pit”. Ma allora porti sfiga! Fa lei.

Il forte è un cerchio di mura e dentro si fa merenda, poi si riparte. Bella esperienza, cinque ore di cammino, manco a dirlo quell'impunito di Roury aveva ragione, ci accorgiamo che la strada l'abbiamo allungata di tre ore. Bella la campagna del Donegal, cacchio, che mi prenda un accidenti se non ci torno!

E che bella l’estate… freddo, vento, pioggia, due sole giornate di sole!

Mi ricordo che fece più caldo a fine maggio, quella settimana passata sempre a Brook Park… un sole tremendo finalmente squarciava la costante coltre di nubi irlandesi, sempre pronte a menar pioggia come gli irlandesi menan le mani. Stavamo solo in jeans, ovviamente eravamo tutti ben muniti di birre... poi Lorenzo si mise in slip e ricordo quei tipi che stavano per tirarci i sassi. Alla fine di quella settimana mi ritrovai appena abbronzato.

Ieri invece mi arriva un sms da Luca, quel tuo amico, che fa: c'è Patti Smith davanti a me a San Severino, si sta bevendo una birra, che le dico? che faccio?... Ho risposto di chiederle se avrebbe voglia di ravvivare la triste scena marchigiana col vero punk rock dei tempi che furono, e magari organizzare un party… Poi non glielo detto e gli ho detto falle firmare un bell'autografo magari farci una foto e farsi dare un bacio sbirrazzato sulla barbetta. Tu c’eri? L’hai vista? Vabbé che fa un genere che, con te, quaglia poco. Se la vedi dalle il mio numero di Derry, venisse qui, non si sa mai!

Mucker, it’s time to go… some students are comin’ soon!

See ya!

Dario, your bro.

Greinan Fort, su in cima alla collina tra Buncrana e Derry. Il rosa che si vede è l’erica, vera regina della brughiera. Le cose bianche sono, ovviamente, pecore.

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domenica 21 novembre 2010

Sandro Savino - Simone Maggio - Emiliano Pintori

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Sandro Savino

Simone Maggio

Emiliano Pintori

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Bologna, 21 novembre - Ieri sera pienone al Chez Baker. Tutto esaurito e locale strapieno di gente infilata da tutte le parti, per seguire i concerti dei pianisti Sandro Savino, Simone Maggio ed Emiliano Pintori con i loro rispettivi gruppi, tutti jazzisti di comprovato valore, che hanno dato vita a dei concerti appassionanti. Ogni gruppo ha proposto un repertorio vario che spaziava da brani ritmicamente coinvolgenti a ballads suggestive. Non si poteva chiedere di meglio a quest’ultima serata che ha chiuso una settimana intensa di concerti.

SANDRO SAVINO

Mi chiamo Sandro Savino e sono nato a Taranto il 5 dicembre del 1980. Ho trascorso la mia infanzia e adolescenza a Matera; città meravigliosa patrimonio dell’umanità e per me grande fonte di ispirazione. Suono il pianoforte da una ventina d’anni e sono molto felice di aver saputo e potuto scegliere di fare il musicista per la libertà che mi è ora concessa. Durante questi anni ho imparato da grandi musicisti e avuto il piacere di studiare con prestigiosi maestri a Matera, Roma e in Olanda, dove vivo da sei anni. In Olanda ho terminato i miei studi jazz nei conservatori di Den Haag e Rotterdam. Oggi sono impegnato in diversi progetti musicali con cui mi esibisco in giro per l’Europa. Parlo correntemente inglese, olandese, spagnolo e portoghese. Amo viaggiare, le percussioni, la socialità, le belle donne e sopratutto il Ritmo che è madre della vita.

http://www.myspace.com/sandrosavino


SIMONE MAGGIO

Sono Simone Maggio e sono nato a Grosseto trent’anni fa e non so perché ho sempre amato la musica e in particolar modo il pianoforte …diciamo che pian piano qualche indizio l’ho trovato! Non ho fatto il conservatorio, anche se da qualche anno studio la musica e la composizione definita “classica” …ecco, una scoperta l’ho fatta: la musica è “UNA”…per me almeno. Colpo di fulmine per il Jazz a 16 anni; ho studiato molto a Roma e negli anni ho fatto un bel po’ di esperienze legate a questo mondo, tra cui alcuni dischi, partecipato a seminari e fatto concerti; ho avuto anche la possibilità di suonare con Lee Konitz nel 2006. Il cercare mi ha portato a fare esperienze anche fuori dal jazz; compositore per teatro e film …anche perché il jazz per me è una parola eclettica ! Adesso vivo in campagna nelle Marche, con mia moglie e molti animali.

http://www.myspace.com/maggiosimone



EMILIANO PINTORI

Sono nato a Bologna nel 1979 e ho iniziato a studiare il pianoforte all’età di nove anni. Non ho seguito un percorso accademico di studi musicali, mentre l’interesse verso il jazz è nato poco dopo, tramite l’ascolto dei dischi dei maestri e attraverso la frequentazione dell’ambiente jazzistico bolognese. Nel periodo universitario avevo già intrapreso una costante attività concertistica, dopo la laurea divenuto il mio impegno principale. Dal punto di vista formativo, le esperienze fondamentali sono state poi l’incontro con il grande pianista e maestro Barry Harris e la permanenza a New York durante il 2009. Negli ultimi anni mi sono parallelamente dedicato alla pratica dell’organo Hammond. Molti sono stati gli incontri musicali, ma per questo rimando ad una mia biografia più convenzionale.

http://www.myspace.com/emilianopintori

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sabato 20 novembre 2010

Alessandro Sgobbio - Livio Minafra - Daniele Pozzovio

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Alessandro Sgobbio

Livio Minafra

Daniele Pozzovio


Bologna, 20 novembre - Ieri sera locale gremito per tre ottimi concerti. Il primo pianista ad aprire la serata è stato Alessandro Sgobbio, pianista dal linguaggio eterogeneo che sembra attingere da diversi mondi musicali, creando una propria cifra stilistica interessante. Il secondo pianista è stato Livio Minafra, un autentico vulcano di idee oltre che di tecnica dallo stile personalissimo. Il terzo è stato Daniele Pozzovio, anch'egli ottimo pianista dal fraseggio fluido e da un suono cristallino e vibrante. Sono stati raggiunti dei picchi altissimi di ottima musica e di interazione con il pubblico che ancora una volta ha risposto con grande partecipazione ed entusiasmo. Anche il livello degli altri musicisti era molto alto e tra di loro si è avvertita una particolare alchimia che è rimasta viva in tutti i tre set della serata.



ALESSANDRO SGOBBIO

∂-Biografia

Posso dire di essermi sentito davvero Musicista a 23 anni. A 25 ho confezionato, nella più umida e calda settimana parmigiana della storia, diploma di piano e laurea in Lettere.
Posso dire di essere l'unico ad aver ritirato la tesi di laurea all'Upim: ivi smarrita e recuperata due ore prima della discussione.
A 18 anni ho scoperto il Jazz - poi dimenticato e ben ritrovato nella bassa parmense con quel tanto d'erre di asburgica memoria.
Mi sono sentito sempre più Musicista grazie ai concerti di jazz, la Yamaha, i primi album registrati, l'incisione di un brano di Gaslini, il 2°premio al “Flores” e la selezione al "Martial Solal"; l'esame di composizione superato dopo 84 ore di clausura.
A 28 anni posso dire di sentirmi evidentemente jazzista, tendenzialmente pianista, sicuramente musicista.

www.alessandrosgobbio.it
www.myspace.com/alessandrosgobbio
www.alessandrosgobbio.blogspot.com


LIVIO MINAFRA

Note di colore:

In realtà io volevo fare il cuoco.. E se proprio dovevo fare il musicista – visto che in casa i miei erano musicisti ed io respiravo musica fin dal pancione – volevo fare il batterista.. Invece m’han fatto suonare il pianoforte. A quel punto l’ho suonato con la tecnica delle percussioni ed ho inventato tutto un mio mondo diversamente abile lì. Non ho mai saputo suonare il jazz famoso, quello alla Bill Evans o alla Oscar Peterson tantomeno le canzoni più in voga del momento... eppure mi sentivo jazzista a sentire gente come Antonello Salis o Gianluigi Trovesi.. Quando poi ho vinto il Top Jazz nel 2009 come Miglior Nuovo Talento in Italia ho vissuto una gioia che ora mi pervade ancora. Non tanto risultare il primo in Italia per un anno (tanto nel jazz non dovrebbe esistere la concorrenza, tanto ognuno racconta la sua storia) quanto l’essere riconosciuto nel jazz pur a modo mio. Un modo mio fatto di tracce di musica araba, impressionista francese, free, melodia, minimalismo.. Il cuoco e batterista mancato pianista abusivo era stato accettato ed ora aveva anche vinto!!! :)

Note serie:

LIVIO MINAFRA, classe 1982, giovane compositore e pianista vincitore del prestigioso premio Top Jazz 2009 quale Miglior nuovo talento, suona soprattutto in piano solo ma ha al suo attivo numerose e importanti partecipazioni (Minafric Orchestra, Municipale Balcanica, Canto General, Radiodervish per citarne alcune) come pianista, compositore, arrangiatore e fisarmonicista. In piano solo ha pubblicato La dolcezza del Grido (Leo Records, Uk) e La fiamma e il cristallo (Enja Records - De). Ha collaborato fra gli altri con Marko Markovic, Paolo Fresu, Bobby McFerrin, Jerry Gonzalez, Frank London, Radiodervish, Mario Schiano, Sergej Kuryokhin, Paul Rutherford, Lucilla Galeazzi, Michele Lomuto, Daniele Sepe, etc. A soli 28 anni ha già suonato in tutti e cinque i continenti eccetto l’Australia.


http://www.myspace.com/liviominafra
www.minafrasprod.com



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venerdì 19 novembre 2010

Emilio Marinelli - Kekko Fornarelli - Simone Graziano

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Emilio Marinelli

Kekko Fornarelli

Simone Graziano

Bologna, 19 novembre - Ieri sera, alle 22, Emilio Marinelli ha aperto la serata. La prima parte del suo set è stata non lineare, scorbutica a tratti. La tensione tra i musicisti era evidente, anche per il pubblico. I primi due pezzi, in particolar modo, hanno spiazzato un po' tutti. L'energia era trattenuta da un tappo che poi è esploso nell'ultimo pezzo del primo set, quando finalmente la carica repressa ha invaso la sala piena.

Un suo piano solo, totalmente improvvisato, è stato il preludio di una fine degna di una jam session, con il pubblico totalmente partecipe.

Nel secondo set il gruppo ha iniziato in modo più aggressivo, cercando subito un contatto diretto con il pubblico.

Anche stavolta poco partecipe, a tratti bloccato, il pianista, Kekko Fornarelli, che si riscatta ampiamente nel terzo brano, che tutt'a un tratto diventa un piano solo intimo, riflessivo, con il pubblico attento ed emozionato. Fornarelli, a questo punto, si prende tutto il suo spazio con un vero e proprio piano solo, premessa di un brano nordico ma non glaciale, scritto del compositore Gianpaolo Venditti.

Il terzo set vede anche qui il pianista, Simone Graziano, totalmente bloccato, quasi impacciato e goffo. Il resto del gruppo, percepita la momentanea empasse del loro collega, ha cercato di riempire il suo spazio, ma qualcuno tra il pubblico ha probabilmente capito che qualcosa non funzionava.

Il pezzo in piano solo, Darkness, oscurità, ha dato invece nuova luce a Graziano, che del tutto ripresosi dall'iniziale blocco chiude briallantemente la serata, mettendo in luce il suo linguaggio che denota anche una preparazione classica.

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EMILIO MARINELLI

Sono nato ad Ancona e ho per parecchio tempo della mia vita vissuto a Falconara Marittima (ridente cittadina sulla raffineria), probabilmente per troppo tempo....
Di conseguenza sono lento, lentissimo ad imparare e migliorare ed inoltre ho sempre fatto tutti i percorsi formativi (e non) al contrario. Ho iniziato suonando in pubblico:
gruppi rock, poi R&B poi Funk (molto funk) e infine jazz. Chiaramente dopo tutto ciò non potevo non affrontare il repertorio classico e con molto, moltissimo, elefantiaco sforzo.
Mi sono diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, il mio compagno di classe aveva 11 anni, io 33. In questo lasso di tempo vitale ho fatto di tutto. Da suonare in un camioncino della frutta davanti ad anziani non troppo contenti di vederti a tournee` negli stadi di tutta europa, o pop star come Bocelli, o spettacoli teatrali, oppure concerti nei club (le bettole) jazz con Americani ed Italiani (ENRICO RAVA, BOB BROOKMEYER, KENNY WHEELER, XAVIER GIROTTO, CAMERON BROWN, GIULIO CAPIOZZO......). Non so se e' bene o male muoversi a zig zag, ma ad andare dritto non sono mai riuscito. La dimensione che preferisco però è quella dei piccoli posti, niente camion di luci o mega palchi, solo una persona e il suo strumento, niente di superfluo o eccessivo: just you and them. Qualche metro di spazio e l'energia di chi suona e chi ascolta.
Comunque studio molto, conto di essere pronto a fare il pianista entro i prossimi 20 anni.

http://www.myspace.com/emiliomarinelli


KEKKO FORNARELLI

Suonare il piano è per me un karma, più che una scelta. Vivere 28 dei miei 32 anni in un'alternanza di amore e disincanto mi pone ancora dinanzi alla domanda del "chi sarò domani?". Infanzia ed adolescenza immerso nella musica classica poi, d'improvviso, il jazz. Non l'ho studiato, l'ho fatto mio. Prima, divorando tutto ciò che mi capitava fra le mani, poi, parlando di me con il mio jazz, arricchendomi da tutti gli artisti che ho conosciuto e con cui ho suonato, trasferendomi in Francia, registrando i miei tre dischi. Oggi, penso che la bellezza della musica sia nella soggettività, nel farla e nel recepirla. In tanti, nel jazz, hanno dimenticato il messaggio che lo stesso voleva dare: Libertà. Possiamo piacere a mille persone o anche solamente ad una. Bisogna solo avere la voglia di cercarla, questa persona. Ovunque essa sia.

www.kekkofornarelli.com
http://www.myspace.com/kekkofornarelli
http://www.facebook.com/kekkofornarelli


SIMONE GRAZIANO

Mi chiamo Simone di nome, Graziano di cognome. Sono Nato a Firenze negli ultimi giorni dell’ultimo anno degli anni ’70 ed è per questo forse che amo l’autunno, le foglie morte, i finali e le code, e il numero 7. A mia madre devo l’amore per il pianoforte e per la musica in generale. A me stesso, la follia con cui l’ho coltivata in questi anni. Ho studiato jazz alla Berklee school di Boston e mi sono diplomato in pianoforte al Conservatorio col massimo dei voti. In “Lightwalls”, titolo del primo disco a mio nome a fianco di due geni spericolati quali Ares Tavolazzi e Stefano Tamborrino, ho cercato il rapporto tra musica e luce e il modo in cui queste si influenzano reciprocamente. Odio Firenze, ma dal momento che son trent’anni che tento invano di abbandonarla, forse, l’amo.

http://www.myspace.com/simonegraziano

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giovedì 18 novembre 2010

Andrea Spurio - Francesco Villani - Alex Trebo

Andrea Spurio

Francesco Villani

Alex Trebo

Bologna, 18 novembre - Ieri sera è stata la volta dei pianisti: Andrea Spurio, Francesco Villani, Alex Trebo. Considerato che la sera prima si è sforato a livello di tempo, è stato ridotto il numero degli standards da suonare per ogni set ed è stato chiesto ai musicisti di essere più asciutti e concisi con i loro momenti solistici, in modo da rientrare perfettamente nei tempi a disposizione. Ieri sera sono stati suonati standards nuovi rispetto alla prima sera quali, ad esempio, Giant Steps e Cherokee. Per quanto riguarda invece l'esecuzione dei due brani inediti del compositore Gianpaolo Venditti, è emerso un certo impaccio e una certa insicurezza da parte dei pianisti, soprattutto per quanto riguarda Twilight. Quello che è stato però interessante è come ognuno ha cercato di tirarsi fuori dalla difficoltà di non sapere bene il brano e di dare comunque un senso musicale a quello che stava facendo. Oltre ai tre pianisti, si sono avvicendati anche due contrabbassisti e due batteristi (un bassista ed un batterista erano presenti anche martedì sera), mentre l'unico fiato presente (il sassofonista Mattia Cigalini, che era presente martedì) ha suonato in tutti tre set, dimostrando, oltre a delle indiscusse doti musicali, anche una certa resistenza. Il pubblico era più numeroso rispetto alla prima sera e sembrava anche più partecipe ed attento. Alcuni spettatori sono rimasti fino alla fine ed anche oltre, aggregandosi ai musicisti in un'appendice musicale della serata.

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ANDREA SPURIO

Come si può dare un'idea tanto calzante quanto convincente di se stessi in "non oltre 800 battute"? La musica è parte di me, l'ho sempre tirata fuori con estrema facilità, quella facilità che fa arrabbiare chi vuole imparare a suonare e non è portato. Da piccolo, 12 anni, ero considerato una specie di "enfant prodige". Ho vinto concorsi nazionali e ricevuto complimenti da maestri d'orchestra; io non me ne rendevo conto perché per me era così semplice! Poi, al liceo, mi sono fatto crescere i capelli e mi sono dato prima alla batteria, poi, più avanti alla chitarra e al basso. Alla fine ho ripreso a suonare il piano avvicinandomi con entusiasmo a quello strano jazz che sembrava così acido, dissonante. Dicono che ho gusto, io non lo so; suono e basta, qualunque cosa; strumenti, cose, generi diversi e forse a volte la musica la prendo sotto gamba, forse perché è la mia vita, e nella vita bisogna saper scherzare.

http://www.myspace.com/andreaspuriojazz
http://www.jazzitalia.net/Artisti/andrea...


FRANCESCO VILLANI

Nasco a Napoli e le somiglio: contraddittorio, generoso, notturno e solare, visibile e sotterraneo. Quando suono, stabilisco un rapporto col pubblico che va oltre ciò che suono. Infatti le mie non sono presentazioni, ma un condiviso, dialogico progetto di reciproca conoscenza. Anche la mia formazione è il frutto di varie, spesso opposte esperienze. Anarchico, quale mi definisco, la disciplina mi è stata sempre troppo stretta.
A 14 anni, interrotti gli studi al Conservatorio, giravo per la città, che all’epoca era un vero crocevia di progetti, per procurarmi serate, nelle quali suonavo Jazz. Ma non mi sono mai fermato a un genere. Non ho pregiudizi musicali e per principio ascolto tutto ciò che reputo buono. Ciò che ho fatto e chi sono musicalmente lo troverete
qui:
www.francescovillani.net

Roberto Saviano ha scritto di me:
http://www.facebook.com/note.php?note_id=169249213991


ALEX TREBO

Nasco in un piccolo paese nelle Dolomiti, San Martino in Badia, ed inizio il mio viaggio musicale per caso, all’età di cinque anni. A sette prendo la mia prima lezione di piano e scopro la musica come gioco. A 19 decido di dedicarmi alla musica in toto, suonando live in veste di pianista e tastierista con vari progetti tra Bologna e Bolzano. I concerti nell’arco di questo periodo, cioè i miei 20 anni, permettono di mantenermi e di viaggiare in paesi lontani, mentre mi formo al Dams di Bologna ed ai conservatori di Rovigo e Bologna. Negli ultimi due anni, ispirato da una permanenza prolungata a Berlino, ho deciso di concentrarmi più sulla composizione di musica per svariate produzioni che spaziano dalle colonne sonore per film (The Contenders), al Nu-Jazz (Mop Mop), alle musiche di scena.

http://www.myspace.com/alextrebo

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mercoledì 17 novembre 2010

Con Claudio Filippini e Vincenzo Danise è partito il Casting

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Claudio Filippini


Vincenzo Danise

Bologna, 17 novembre - Ieri sera si sono avvicendati due pianisti, Claudio Filippini e Vincenzo Danise, in due Concerti di cui il primo è durato di più del secondo (perché i tempi sono stati sforati e all'una il locale doveva smettere con la musica dal vivo). Nei due Concerti i musicisti hanno suonato quasi gli stessi standards. C'è stato un momento in "piano solo" per ciascun Concerto in cui Filippini ha eseguito il celebre standard "Caravan", mentre Danise ha eseguito una sua composizione. C'era una ottima alchimia e un buon affiatamento tra i musicisti di entrambi i gruppi. Il pubblico, numeroso, ha risposto abbastanza calorosamente. Per esigenze di tempo, il gruppo di Danise ha dovuto accorciare i brani e tagliarne qualcuno alla fine. Gli organici erano gli stessi per entrambi i gruppi, per quanto riguarda i fiati (sax alto e tromba), mentre differivano per quanto riguarda la sezione ritmica (contrabbasso, batteria, piano). Mattia Cigalini (sax alto), che nel primo Concerto è stato molto presente sulla scena, nel secondo è stato un po' più dietro le quinte, causa un malore (non grave) accusato durante la serata. Tra i brani inediti sono stati eseguiti "Twilight" e "Chez Baker big ben band".

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CLAUDIO FILIPPINI

Mi chiamo Claudio Filippini, ho 28 anni e suono il pianoforte da 29 anni. Ho iniziato con la musica classica e quando non volevo studiare cazzeggiavo ad orecchio. Mi piaceva ascoltare le canzoni dalla TV e risuonarle al primo colpo. Fu proprio questo gioco che innescò in me la voglia di diventare un musicista. Quando ascoltai "Kind of Blue" di Miles Davis avevo 13 anni e da allora rimasi folgorato tanto da voler diventare un pianista jazz. Completai gli studi classici e nel frattempo mi misi sotto ad ascoltare centinaia di dischi. Marinavo la scuola, rompevo le palle ai musicisti più grandi di me, volevo sapere tutti i trucchi del mestiere, frequentavo workshops, e suonavo in jam session fino all'alba. La musica mi ha portato lontano, da Pescara a Roma, Chicago, Londra, S.Francisco e oltre. Ho incontrato maestri di vita come Hancock, Barron, Cables, D'Andrea, gente con le palle quadrate per intenderci. Ora sono un professionista, suono di tutto e con tutti, vivo di musica senza dare lezioni e senza dire di essere il nuovo Mozart italiano.

www.claudiofilippini.com
www.myspace.com/claudiofilippini


VINCENZO DANISE

Sono qui nella mia stanza di 10 m quadri con la mia Emy (cagna pincher) 3.07' del mattino a parlare con me stesso.
A 10 anni servivo messa nella chiesa del mio quartiere napoletano, uno dei peggiori, a distanza di anni mi sono reso conto che è stato stimolante vivere in un quartiere povero e incazzato.
A 11 ero il ragazzo del pizzaiolo schiacciavo pomodori per le pizze con le mani circondato da persone semplici in famiglia a scuola e nel mondo del lavoro... ma in famiglia c'era "la musica" mio padre un ottimo chitarrista che il vivere di stenti ha costretto a "lavare i cessi" come dice lui ironicamente.
A 12 anni ebbi un colpo di fulmine: il pianoforte qualcosa che ti entra dentro ti si infila fino all' inconscio. Iniziai ad implorare i miei di comprarmi un pianoforte farmi prendere lezioni: come potevano? a stento si arrivava al 28 del mese. Trovai un annuncio su un giornale cercavano un cameriere, mi assunsero (a nero) al Circolo Posillipo circolo per ricchi… li' c'era un pianoforte gran coda. Un noto musicista napoletano all'epoca direttore del Conservatorio di Napoli Roberto De Simone mi vide suonare con la divisa da cameriere, corto,piccolo, facevo tenerezza ovviamente, mi affidò a Miriam Longo per l'ammissione in Conservatorio... quando meno te lo aspetti ci sei!!! Nelle aule del Conservatorio quando trovavo un'aula libera per studiare suonavo un di pò Jazz, dei soli di Joe Pass, un giorno mi riproverarono di suonare musica dissonante, da scugnizzo risposi a tono: mi allontanarono per 15 giorni! Ho collaborato con molti musicisti tra cui: Mike Francis, Ares Tavolazzi, Massimo Manzi ma un feelling particolare è nato con il sassofonista Marco Zurzolo, ho esportato la tradizione napoletana in chiave jazzistica in tutto il mondo: Messico, Siviglia, Brasile, Argentina, Uruguay, Londra, Manchester, ecc. .. L 'anno scorso ho inciso Immaginando un trio vol.1 realizzato grazie ad un concorso indetto dalla Radar/Egea, che ho vinto.
L'immaginazione e' tutto per l'essere umano è la prima fonte della felicità Immaginando un Trio racconta un po’ quel che il popolo partenopeo vive, con quale passione nel bene e nel male compresa la "monnezza", contiene brani originali qualche brano della tradizione napoletana come A'Vucchella scritta da G.D'annunzio. "Il tesoro è nelle tue mani, non cercarlo altrove."

http://www.youtube.com/watch?v=WigFoqvLoLM&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=Ksx4SiedkHE&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=j186aIFLE9E&feature=related

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domenica 14 novembre 2010

Bologna

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E' vero. Contro il viaggiare avevo scritto severamente, ma per esaltare il coraggio di vivere qui a Tolentino, senza fuggire, in cerca di una vita che non è mai altrove.

Eppure, non ho resistito al richiamo del Bologna Festival Jazz. Dunque, oggi parto. Sarà solo musica. Mi nasconderò tra la folla, per godermi ogni evento indisturbato.

Racconterò in parte quello che vedrò e sentirò. Mi piace 'seguire' i discorsi della gente comune, che assiste ad uno spettacolo importante restituendo meraviglia e piacere. Se non sono fastidiose e petulanti, le chiacchiere sono tutte da seguire. Mi urta sentire apprezzamenti sbrigativi su un giovane musicista che, magari, sta esprimendo il meglio di sé, in un momento della sua vita che non sarà certo uno dei tanti! Voglio provare anch'io quella emozione. Li invidio, perché si lanceranno nella fossa dei leoni, suonando davanti a un pubblico agguerrito, che sente cosa vibra nell'aria.

Questo genere di spettacoli richiede una storia personale. Non si va a Bologna senza un 'curriculum' musicale. Io sarò un turnista, ma la musica è musica. Voglio dire che tra la mia vecchia passione per tutto ciò che è pop e la madre di tutte le forme eccentriche ed imprevedibili non c'è un divario incolmabile. Riesco bene a passare bene dall'una all'altra nel mio cuore, senza sentirmi un ladro o un avventuriero, che osa sconfinare in territori che non sono suoi. Conosco io i miei confini! Si capisce, i confini interni tra una cosa e l'altra!

Quando 'dirigo' i miei allievi e quando vado a concerto per sostituire qualcuno sono una parte di me che conoscete bene. C'è poi il Marco notturno, segreto. Ci sono altri Maestri che dirigono l'orchestra interna. Non sono io a dirigere, quando "è notte". C'è sempre qualcuno che mi dice cose mai sentite prima. Ed io ascolto. E ripeto. E gioco a variare e a tentare il nuovo. Mi sento come il tuffatore che si lancia dal trampolino più alto. Ho controllato bene. C'è acqua in abbondanza nella piscina. Non ho ancora imparato a tuffarmi e basta.

Intanto, voglio cercare di carpire qualche segreto dalle performance dei ragazzi di Bologna. Mi farò la mia settimana di Concerti. Cinque giorni. Saranno come un ciclo completo che copre bene il tempo. Esisteranno solo loro. La festa è dedicata a loro.


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