Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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domenica 5 dicembre 2010

La forma di un sogno

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Caro Dario,

questa notte ho fatto un sogno di quelli che andrebbero subito sottoposti all'attenzione di uno psicoanalista, perché interpretarlo non credo sia facile.
Ero vicino alla mia donna, quasi dentro di lei, di fianco, leggevo dentro di lei: ho letto un suo sogno, come se lo scrutassi dal buco di una serratura. Lei sognava di poter sognare due o tre sogni, che però erano aggrovigliati, accartocciati, quasi una cosa sola. Lei sentiva che da quei sogni dipendeva una sorta di liberazione sua, come se la opprimesse qualcosa che era racchiuso in quei sogni. Durante tutto il mio sogno, il peso ingombrante dei suoi sogni era avvertito anche da me. Come se io fossi lei. C'è stato un 'lungo' argomentare silenzioso tra me e me su quella massa di sogni. Lentamente si sono distinti l'uno dall'altro. Erano forse tre. Ma non potevano essere sognati tutti insieme. Il dolore forse nasceva proprio dal fatto che erano troppi. Così c'è stato il momento risolutore: mi sono concentrato sul primo, che era all'inizio, come se stessero in fila. Non c'era molto dentro. Almeno così credo. Era come se fossero solo involucro. Masse gommose. Lo scioglimento dell'incubo è arrivato quando finalmente ho separato il primo sogno dagli altri. E' stato come scoprire che non c'era altro da fare. Niente altro da sognare.

Tu forse ricorderai che io non sogno mai. In tutta la mia breve vita, fin qui, avrò sognato due o tre volte. Sarà un periodo brutto questo, se mi ritrovo con questo sogno tra le mani. Ho pensato che per questo forse non riuscivo più a scrivere. Ho fatto passare un po' di tempo dalla tua ultima lettera. Ero come pietrificato da qualcosa. Ora non più. Tornerò a scriverti nel pomeriggio.

Ti abbraccio.

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