Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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martedì 7 dicembre 2010

La forza delle illusioni

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Caro Dario,

ti sarà accaduto sicuramente più di una volta di ritrovarti a pensare che una vicenda conclusa, non importa quale, aveva recato con sé un insegnamento: ti eri abbandonato all'illusione; ti eri rappresentata la realtà più interessante e carica di aspettative di quanto non fosse in sé. E' facile parlare delle illusioni, come se riguardassero persone portate a sognare, ad immaginare come vero ciò che non è, a vivere su piani di realtà che poi vengono sconfessati dai fatti. E' veramente difficile ammettere quanto di illusione ci sia in tutto quello che facciamo! Se solo consideri le fantasticherie che precedono sempre l'azione, le anticipazioni di incontri, le presupposizioni su ciò che gli altri sono, e poi l'abbandono fiducioso alla credenza. Non mancano i buoni ragionamenti a sostegno delle tesi più strampalate, anche se poi si scopre che alla loro base non c'era un solido riscontro nella realtà!

Quante volte abbiamo ammesso di esserci sbagliati, di aver fondato anche per anni le nostre convinzioni su idee non provate, su meri presupposti? Ci basta un indizio per arrivare a dire di avere prove sicure sulla bontà di un comportamento, di una convinzione, di un'idea che ci siamo fatti di qualcuno!

L’illuso ignora la realtà nella sua tangibile evidenza, o meglio, non la ignora, ma la oblitera, la cancella, la rimuove, o meglio ancora, non la rimuove del tutto ma la ritiene marginale e di poco conto, rispetto all’evidenza dei suoi sogni, luminosa e quasi corposa. (LIONELLO SOZZI, Il paese delle chimere. Aspetti e momenti dell’idea di illusione nella cultura occidentale, SELLERIO EDITORE 2007, p.16)

Può accadere, certo, che noi elaboriamo il fantasma di un’intesa sublime con gli altri sulla base di spunti in realtà assai modesti, cui attribuiamo significati e promesse del tutto abusivi, così come ascriviamo a noi stessi meriti che non sussistono, e accarezziamo l’ideale ma poi non abbiamo la strenua costanza e l’assidua fermezza necessarie per restargli fedeli. Non traduciamo in nulla i nostri sogni, ci accontentiamo di una sorta di velleitaria nostalgia. […] incapacità di capire il reale, d’intendere che l’“altro” non è affatto tenuto ad adeguarsi ai nostri modelli, percorre le sue vie e compie le sue scelte, che coltiva a sua volta miraggi e progetti assai lontani dai nostri. […] Ogni uomo è chiuso nel bozzolo dei suoi sogni. (p.17)

Ben altra è la natura della speranza: essa ci porta lontano dalle nostre chimere, nella terra incognita che abitano gli altri. Lì siamo al sicuro.

«La speranza è come un ponte che si innalza al di sopra di ogni situazione […]. Come un ponte che ci fa uscire dalla nostra solitudine e che ci mette in una relazione senza fine con gli altri: con gli altri, in particolare, che soffrano e chiedano aiuto; ma, ancora, cosa è mai un cuore senza speranza?» (Eugenio Borgna, L’attesa e la speranza, FELTRINELLI 2005, p.51)

La cultura popolare si abbandona alle sentenze facili, spesso contraddittorie, che si contraddicono tra di loro. Avrai sentito dire "Finché c'è vita c'è speranza", accanto al più volgare "Chi di speranza vive disperato muore"! Quando smettiamo di pensare, finiamo per credere che non sia possibile uscire da quell'antinomia: le due sentenze sono vere entrambe! Il nostro scetticismo sulle cose dipende dal disincanto in cui ci precipitano le nostre delusioni. Come se la vita perdesse tutte le sue attrattive! Ma proprio questo oscillare la Musica cerca di esprimere, senza dare troppo credito alla volgare negazione della speranza. Si potrebbe dire che è il mezzo più importante per dare voce alla speranza.

Il germanista Claudio Magris in un brillante saggio intitolato Utopia e disincanto afferma che utopia e disincanto

«anziché contrapporsi devono sorreggersi e correggersi a vicenda». […] «Il disincanto è un ossimoro, una contraddizione che l’intelletto non può risolvere e che solo la poesia può esprimere e custodire, perché esso dice che l’incanto non c’è ma suggerisce, nel modo e nel tono in cui lo dice, che esso, nonostante tutto, c’è e può riapparire quando meno lo si attende. Una voce dice che la vita non ha senso, ma il suo timbro profondo è l’eco di quel senso». […] «Il disincanto, che corregge l’utopia, rafforza il suo elemento fondamentale, la speranza. […] La speranza non nasce da una visione del mondo rassicurante e ottimista, bensì dalla lacerazione dell’esistenza vissuta e patita senza veli, che crea un’insopprimibile necessità di riscatto. […] Il disincanto è una forma ironica, malinconica e agguerrita della speranza» (p.53).

Io vorrei che tu mi immaginassi così: proteso verso la vita, ma non ingenuamente preso dagli inganni della mente. Sicuramente, fiducioso nella forza dell'ideale, ma con gli occhi spalancati sulla realtà. Esitante e timoroso, a volte, ma assolutamente certo del tuo affetto.

Con questo sentimento, ti ringrazio delle tue visioni della Brughiera di Derry: mi aiuti ad immaginare quello che presto vedrò con i miei occhi. Magari, ci costruirò intorno i miei sogni ad occhi aperti. Questa attesa non sarà sterile né vana: la sorregge la speranza - che è sempre certezza - che tu ci sarai ad accogliermi con la fraternità di sempre.

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