Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

.

giovedì 27 ottobre 2011

Presentimenti

*
«Dentro di te c'è un fatale angolo morto». Quando gli occhi sono caduti su queste parole, alla pagina 474 de L'uccello che girava le viti del mondo, di Murakami Aruki, ho provato la sgradevole sensazione che si riferissero a me, che l'Autore le avesse messe lì apposta, per indicarmi severamente che qualcosa in me non va. Naturalmente, non mi sono mai fatto suggestionare dalle coincidenze. Ma poi, quali coincidenze? Che cosa c'entra con la mia vita una frase buttata lì da uno scrittore, a segnalare la condizione di un personaggio che entra ed esce dai suoi sogni senza ricordare bene a volte cosa sia sogno e cosa realtà? Fatto sta che non è finita lì, perché mi sono portato dietro per giorni il peso di una sentenza che suonava come monito per me. Ho risposto, allora, all'invito di un amico regista, un giovane che vive a due passi da una Chiesa vecchia di mille anni che ha voluto farmi conoscere, perché convinto che lì avrei trovato forse una risposta alle mie inquietudini. Egli sa bene che un tempo ero credente appassionato, che a tratti comunicavo con l'aldilà: poteva farmi bene immergermi in un'atmosfera mistica per un po'. Ho accettato la sfida e mi sono diretto di buon mattino verso i luoghi designati per l'esperienza esemplare, segretamente preoccupato che veramente potesse accadere qualcosa di indesiderato.
Sotto le volte e le colonne del tempio ho aspettato che succedesse qualcosa, ma sembrava che non fosse quello il tempo per uno scioglimento: i grumi di dolore che impedivano l'accesso al nucleo nascosto nel fondo dell'anima resistevano alla dolcezza che pure si distillava nel cuore. Altre voci risonavano in me. La voce di mio padre. Il canto domenicale. Alcune preghiere recitate da bambino. E musica. Tanta musica! Corali. Organi. Clavicembali. Spinette. Dov'ero io? Che ne era della parte di me che pure rispondeva alle voci? Una lieve commozione mi prendeva alla gola. Ma non ho voluto 'proseguire'. So che quel dolce tornerà. Ma in quel momento era troppo, era già troppo per me!

*

mercoledì 3 agosto 2011

Il tempo prima della felicità

*

Caro Dario,

ti chiederai perché io torni a scriverti, come se non lo avessi fatto già, in risposta alla tua. In verità, sento il bisogno di chiederti consiglio e però, prima ancora, di confessarti un imbarazzo e una difficoltà. Nel mio lavoro di turnista si incontrano persone di ogni genere. C'è sempre chi si avvicina alla fine di un Concerto a congratularsi e a parlare di musica e dei propri talenti.
- Ho scritto una canzone, che vorrei farti sentire. Possiamo incontrarci?
Si può dire di no, soprattutto quando la persona ti prende alla sprovvista? Dopo tutto, chi sono io? un maestro della musica che non ha tempo per i principianti? Non ho iniziato anch'io così, dal niente? Fin qui tutto sembra facile e poco problematico: si tratterà di dire onestamente se una cosa vale o no, se ha difetti e quali. Le cose si fanno più complicate quando a chiederti aiuto è una giovane donna che mostra chiaramente di essere interessata non solo al tuo modo di suonare ma a te, proprio a te. Diciamo: anche a te. Se fosse solo questo, non sarebbe difficile districarsi. Ma se la stessa persona si presenta come compositore - compositrice - e con entusiasmo ti parla e ti parla di cose che piacciono anche a te, non capisci più a chi devi dire sì e a chi no.
Sia ben chiaro: non posso dire che non sia capitato mai con le lezioni private! Stare vicino a una allieva che fa la tonta e vuole essere guidata per mano, per allungare il brodo e magari stare un'altra ora con te, è accaduto già. Ma questa volta ho paura. Sì, è così. A questa ragazza non sono in grado di dire no. Non sono nemmeno sicuro che avrò il coraggio di dirle che qualcosa non va. Ma poi, se finisco per studiare solo quello che può servire per rivederla ancora?
Tu pensi che dipenderà dalla Musica, che ci rende più sensibili alla bellezza e fragili ed esposti? A me non mancano argomenti: mi conosci! Posso intrattenere un allievo per ore, se mi serve per uscire da impaccio. Per riaffermare l'autorità insidiata dalla critica insinuante o dal sospetto di impazienza, se non dedico ad ognuno il tempo giusto.
Ecco, diciamo che è tutto una questione di tempo: bisogna dedicare ai ragazzi il tempo giusto e nemmeno un minuto in più. Tu mi dirai: ma debbo dirti io che sto a Derry e non ho mai visto la tua fanciulla quanto tempo dovrai trattenerla a casa tua - a casa tua! -, quando verrà all'appuntamento che le hai dato? Mi dirai pure: ma non sei impegnato con la tua Martina? non sei felice con lei? che c'entra questa, ora? Oppure, con la tua simpatica volgarità, mi suggerirai pure di approfittare dell'occasione, perché non mi si ripresenterà tanto facilmente...
Dopo avere scartato tutto quello che precede, andiamo al dunque! Lei mi si presenta dolce e gentile - già questo mi fa star male! - e mi parla, a pochi centimetri dal viso, del mio stile, delle mie mani, che lei segue ammirata. Mi ha già detto che una donna riesce meglio di un uomo a comprendere un'anima dalla voce. E lei ha colto nella grana della mia voce non so bene cosa: pare che voglia parlarmene quando verrà, perché è convinta che quando io suono ci metto anche la voce! Lei non riesce a separare la mia voce dalle mani. Mentre io suono, lei sente la mia voce. Deve avermi spiato: non ho mai parlato prima con lei!
Il quesito che ti pongo è il seguente: debbo preoccuparmi della mia voce, che possa essere trapelato qualcosa di me che lei ha colto e che potrebbe usare per legarmi a sé? Perdona la mia ingenuità, ma qui ne va della mia libertà. Questa dice che sa di me cose che io stesso ignoro!
Sai bene quanto io sia schivo. Ho sempre difeso bene la mia intimità. Come si fa a nascondere la voce, quello che la voce tradisce? Evidentemente, è impossibile! Siamo di fronte a un paradosso: passiamo inosservati di fronte al mondo, grazie alla sua distrazione endemica e cronica. Ci lamentiamo, addirittura, perché nessuno ci nota. E cosa ti deve capitare! che arrivi fresca fresca - come si dice dalle parti di Tolentino - un'Amazzone gentile, che rischia di trascinarti sul suo cavallo e di portarti via! Fuor di metafora, qui non si scherza! Ci sono i sentimenti a farla da padroni. Stai fresco a dire "vita schiva"! quando meno te lo aspetti, arriva qualcuno che, senza chiedere permesso, è già installato nella tua anima. E non parlo dell'anticamera.
Sentirsi raggiunti nei recessi della casa, dove sono custoditi i simulacri di coloro che ci hanno preceduti, e magari sentirsi dire che quell'ambiente è familiare, come se in altri tempi pure qualcuno vi entrò e ricevette conforto alle più temerarie imprese, non aiuta a star bene. La fanciulla quasi mi sta dicendo che io le ho permesso di entrare: la porta era aperta. Ma non è stato Melville a dire nel suo Moby Dick che l'anima non ha finestre?
Insomma, che debbo fare? Scappo a Derry? Mi do malato? Oppure, me ne sto impassibile ad attendere, magari permettendo a quella giovane divinità di fare scempio di me, perché sotto sotto è quello che voglio? Cos'è questo che dico? Ho sempre pensato che non bisogna andare dove ci porta il cuore! dobbiamo essere noi a governare i nostri affetti e non lasciarci travolgere mai!
E' veramente così? Se in un giorno d'estate, mentre distrattamente ci accingiamo a radunare le nostre cose, dopo una performance più sentita del solito, perché meravigliarsi se l'anima, ancora beante, si apre a nuove evidenze e dice sì a una fanciulla fasciata di luce, venuta non si sa bene da dove, ma consapevole di sé e del suo potere sul cuore, sul nostro cuore, che ha colto in un momento in cui non era avvertito e compreso di sé, e si mostra per niente disposta a sostare sulla soglia del mistero, ma è già pronta a squarciare il velo che ci separa dall'incanto? Se non sappiamo bene nemmeno noi a cosa bisognerebbe dire no, perché temere un sì che ci staccherà dalle nostre eterne esitazioni e ci lascerà assaporare il nuovo che avanza e che chiama noi, solo noi?

*

martedì 5 luglio 2011

Anche qui

*

Caro Dario,

dopo il mio ultimo post che sembrava l'elucubrazione notturna di persona triste e solitaria - un monologo alla Luna - ti sarai preoccupato di me e giustamente mi hai inondato di Irlanda e di Derry e di musica e di tutto il resto. Ma non credere che qui io mi sia rinchiuso in una vita monotona e senza gioia. Tolentino non è Derry, mi dirai. L'Italia della spazzatura a cumuli di Napoli e gli scandali nella vita pubblica ti faranno pensare che siamo messi male. Tu sai altrettanto bene, però, che la vita trova sempre i suoi varchi per poter durare ancora.

Una professoressa di Liceo racconta periodicamente una storia per illustrare l'idea che la poesia sopravvive a tutto. Tra le sue studentesse ce n'era una particolarmente malinconica, che se ne stava appartata per la maggior parte del tempo. Quando arrivò il giorno del ricevimento dei genitori, provò a descrivere alla madre quello che vedeva in sua figlia, per comprendere meglio la ragazza, magari ricevendo in dono dalla madre qualche informazione in più. Con sua sorpresa, invece, si trovò ad essere letteralmente rimproverata perché non comprendeva cosa fosse l'età di quella ragazza. La madre rievocò la sua adolescenza e quella di sua madre, che le raccontava di quando la città era sotto i bombardamenti nemici. Ebbene, lei ricorda quel tempo - che pure era di guerra - come il più felice della sua vita.

Tu mi dirai: che c'entra tutto ciò con le cose che dicevamo? C'entra, c'entra. Tu credi che la spazzatura e gli scandali di un miliardario impenitente fermeranno il nostro amore per la musica? che ci impediranno di approfittare di tutte le feste di paese, tra Tolentino e tutto il resto, per tornare a incantare il pubblico con la musica di sempre? Io lo so che tu mi vorresti lì, magari al posto tuo, perché pensi che tanto jazz irlandese farebbe più bene a me che a te, ma anche qui, credimi!, la vita non è meno lieta e scanzonata. Pensi che non abbiamo birra di qualità? che le ragazze se ne stiano chiuse in casa e non contribuiscano per niente a fare di una calda notte di estate l'incanto lungamente desiderato, con balli e cantate a squarciagola, per ricoprire il chiasso della spazzatura e di tutto il resto? Verrò a Derry, verrò! Quando meno te lo aspetti, ti telefonerò e ti dirò: prenota! preparati! arrivo!

E’ vero, sono un po’ triste, perché è morto Benedetto, un giovane writer malato d’amore. E’ andato a schiantarsi con la macchina contro un muro, dimentico di sé e forse distratto dal miele delle ultime parole della sua ragazza. E’ per questo che non ho risposto subito alla tua. Si firmava SLAP. E’ stato un mese durissimo, per me. Questa morte non è stata come quella di tanti altri. In tanti trepidavano per lui. Se n’è andato proprio quando sembrava che il tepore dell’aria invitasse di più ad uscire la sera. Che idea morire di giugno, quando a tarda sera le cicale si apprestano come ogni sera ad improvvisare per noi il canto più alto e più forte. La vita non dovrebbe forse assordarci così, ogni volta, per sconfiggere silenzio e morte?

*

lunedì 30 maggio 2011

Dear Marco, Hiya, what’s the craic?






*
Dear Marco
Hiya, what’s the craic?

Di tutte le espressioni con cui un irlandese può esibirsi nella grande arte scenica del saluto, hiya-how-is-it-going-what’s-the-craic è quella che preferisco. A volte dicono hi, a volte hiya, seguiti da
How is it going o dall’ancora più tipico what’s the craic?
Insomma: ehi tu, ciao come stai?
Qui tutto bene!

Come è andata la Pasqua? E l’escursione alle Grotte di Frasassi? Vi siete persi? Io la pasqua l'ho festeggiata tra gran pranzi a casa di un mio amico italiano (Lorenzo il Magnifico) che era partito con me e che è diventato qua uno dei miei due migliori compagni di sbronze intergalattiche. E’ stato bello perché vive con delle studentesse francesi di origine africana che hanno amici che hanno figlioletti saltellanti con cui ho giocato tutto il pomeriggio beccandomi anche parecchi calci negli stinchi, anche…

…E poi ti sei di nuovo perso l’aria di jazz fratello! ’Sto primo weekend di maggio la città l’ha passato all'insegna del Jazz Festival. Pensa, dinosauri del jazz venuti da tutto il mondo per ritrovarsi nella più sperduta contea nordoccidentale dell’(ancora) Impero Britannico di Derry, a salutare il fiume Foyle, che con il suo odore vagamente putrescente avrà riportato la loro memoria indietro ai tempi della cara vecchia New Orleans. Ogni pub (che come già sai in città ce n’è uno ogni mezzo abitante) ha portato musica dal vivo dall’una del pomeriggio all’una della sera... anche le band locali hanno offerto il loro repertorio riadattato in chiave jazz, anche se magari in genere suonano punk, folk o metal.
Io, e il jazz…!?!? Qui c’è qualcosa che non quadra, dovresti essere tu al mio posto. Ma ci pensi?
...Se penso a te in Italia col suo solito clima di stress, la maleducazione delle persone, il clima politico da Banana Republic, come dicono qua…

…E comunque non ci penso mica a tornare! Sappi che l’Irlanda mi ha stregato una volta di più. Erano mesi e mesi che non si vedeva la “bella stagione”. Credimi: quando qui spunta il sole non c'è proprio paragone con l'inverno, perché anche se Derry è sempre “calda” grazie alla sua gente e alla sua storia, in questo periodo di sole tutti erano di umore altissimo, davvero rilassati, per quanto a mia memoria lo siano sempre stati, anche più del solito, e sorridenti, divertenti più che mai. Pensa che nessuno di loro ci credeva: c'è stato il sole per ben due settimane e solo qualche rovescio. Questo li ha riempiti di endorfine e cose varie. Addirittura verso dublino e un po’ in tutto il sud ci sono stati degli incendi, il che ha dell'incredibile in Irlanda!

E poi c’è stata aria d’elezioni in questi giorni. McCann, attivista sin dagli anni sessanta, bhè, lui s’è ricandidato, avresti dovuto vedere i manifesti, che forza! Stava tutto preso ma purtroppo nonostante il suo quasi secolare impegno sociale, trent’anni di marce per diritti civili sulle spalle, niente! Nemmeno questa volta: nemmeno un seggio a Stormont, il Parlamento dell’Irlanda del Nord.

Dannato musicista dei miei stivali! Ma che fai ancora là, sbrigatiiiiiiiiii che qui c’è sempre spazio per la musica, la gente quasi che ci vive, con la musica!! Fammi solo sapere quando, e te lo giuro fratello ti organizzo un comitato benvenuto da paura!!!


Slan!

Dario, your brother

*

domenica 1 maggio 2011

Mancati incontri

*
L'arcipelago delle nostre emozioni ci appare dagli incerti confini. Non tanto, sconfinato. Né illimitato. Piuttosto, ci sembra di stare al centro di un territorio di cui non riusciamo a vedere fin dove si estenda e quali siano i passi indispensabili per procedere. Sono le nostre scarpe che non conosciamo. O meglio, non sappiamo bene dove ci porteranno i nostri piedi. Ma sappiamo bene che, in realtà, i nostri piedi vanno dove li sospinge il cuore. E il cuore? Non è forse intriso di pensieri? Tutti i moti della nostra anima non sono forse preceduti a accompagnati dalla nostra riflessione continua? Possiamo anche non riflettere! Vorrà dire che seguiremo i pensieri di qualcun altro, magari quelli che ci risuonano nella mente e che provengono dalle mille cose udite... Saranno allora le nostre credenze a prevalere e a guidarci.
Ma nelle cose del cuore, che sono poi le cose che si riferiscono ai nostri rapporti con il mondo, con gli altri, che cosa renderà possibile il compimento? E che cos'è compimento se non l'apertura al possibile, il mondo sconfinato delle nostre possibilità, che è il mondo della nostra libertà? All'incrocio tra due vie del cuore cosa troveremo? Smarrimenti, turbamenti, incertezze, ma soprattutto belle illusioni. Ci acconceremo a credere che la persona che sta lì davanti a noi sia interessata a noi, perché ci sorride, perché considera con attenzione le nostre cose. Quando interverranno fraintendimenti e incomprensioni, sarà il momento della verità.
Gli umani sono portati a credere che la verità sia il fatto accaduto ieri alle cinque. E' esattamente quello che ci è stato riferito. O quello che hanno visto i nostri occhi. Potremo dubitare dei nostri occhi? Ma siamo sicuri che la realtà in cui l'altro consiste corrisponda perfettamente alla nostra percezione di un fatto, di un evento e basta? Un mio vecchio amico filosofo mi ha insegnato una cosa sola, che lui esemplifica con le parole di uno scrittore, il viennese Hugo von Hofmannsthal: "La verità è il tono di un incontro".
Allora, non l'ostinato chiedere e recriminare su quello che è accaduto ieri alle cinque - come se la verità fosse un fatto! - vale nelle nostre relazioni umane, ma quello che c'è effettivamente tra di noi, ciò che sta accadendo: l'incanto dei giorni, il valore del reciproco cercarsi e trovarsi. Ma è facile incontrarsi? Ci incontriamo veramente?
Una professoressa della mia città mi ha detto con semplicità un giorno, come se non stesse dicendo niente di sconvolgente: "Un'altissima quantità di incontri umani viene distrutta da una scarsa tolleranza agli equivoci". Fraintendimenti ed equivoci sono fruttuosi: si potrebbe dire che da essi dipende una buona porzione della nostra vita. Quanto tempo, infatti, 'perdiamo' nei chiarimenti, nello sforzo incessante di fissare il significato da dare alle parole? Ma nel farlo, quanta umiltà e pazienza e compassione sono necessarie! Ciò che non riusciamo a fare bene è andare al cuore delle cose.
Il cuore della cosa stessa – la realtà dell’anima, la sua vita, le forme del suo sentire – è storia, narrazione, racconto, vicissitudine, incanto. Dentro il flusso della vita, nel caotico succedersi dei fatti quotidiani, non cerchiamo un Oriente: sappiamo di dover consistere nel magma indistinto, cercando appigli, file di continuità nella catena dei frammenti, riconoscimenti, la ‘salvezza’ delle cose oltre il loro svanire. Noi cerchiamo di risalire, oltre il disincanto del mondo, all’autentico dispiegarsi dell’esistenza umana.

Ciò che pregavi con amore,
che come cosa sacra custodivi,
il destino alle vane ciance umane
ha abbandonato per ludibrio.

La folla entrò, la folla irruppe
entro il sacrario dell’anima tua,
e di misteri e sacrifici ad essa
aperti tu arrossisti tuo malgrado.

Ah, fosse mai che le ali vive
dell’anima librata sulla folla
potessero salvarla dall’assalto
dell’immortale volgarità umana!

Fëdor Tjutcev


Questi versi rendono bene l’idea di ciò che si dà quando si superi la linea di confine che separa dall’invisibile: l’accesso a quest’ultimo non è ingresso letterale, effettivo, l’affacciarsi determinato al senso dispiegato delle cose. Il contatto con l’anima e con il corpo dell’altro non è possesso. Non di un oggetto si tratta, infatti, ma di un soggetto che si dà per ritrarsi subito dopo, per pudore, perché sia salvo il nucleo di sé dall’oltranza della bellezza. L’insistenza del pettegolezzo e dell’insinuazione, come la rivelazione di segreti lungamente custoditi nell’anima, ma anche – più semplicemente – il tradimento dei sensi nascosti di una vita, che era stato consentito di conoscere per privilegio o per amicizia, tutto l’intrudere, l’invadere, l’irrompere scomposto e ‘non autorizzato’ è far precipitare nel disincanto una relazione non importa quanto profonda e importante.
Stare ‘al di qua’ è contemplare l’incanto delle cose. Anche l’amore non dovrebbe essere stropicciato. La manutenzione degli affetti prevede cura e attenzione, certo, ma anche distanza e rispetto.
L’arte di fare passi indietro andrà ‘coniugata’ adeguatamente da una parte e dall’altra con accettazione e perdono, con l’arte della redenzione del ‘così fu’: contro la malinconia, che tende a far precipitare nell’irredimibile torti e incomprensioni, occorre elaborare in ascolto l’accaduto, prevedendo l’approdo a un’innocenza seconda che non è impossibile attingere, oltre l’errore e la dimenticanza.
L’imperfezione dei nostri strumenti umani è colpa. Solo prudenza e pazienza, umiltà e accettazione potranno impedire il perpetuarsi dell’errore e il rischio della caduta nella confusione dei sentimenti, che si traduce nell’incapacità di percepire il valore di ciò che ci sta più a cuore. La colpa più grande è, tuttavia, perdere di vista l’incanto delle cose, accostarsi ad esse con distrazione e scetticismo, incuranti della fragilità delle esistenze che popolano il mondo intorno a noi.

*

*

sabato 26 marzo 2011

Gente di Derry




*

Hiya!

Indovina un po’ chi scrive?
Proprio tuo fratello, l’italo-irlandese!
What’s the craic? Novità?

Allora, ti aggiorno: dal St Patrick’s Day in poi (17 marzo) qua tra scuola e impegni vari c'è stato un bel marasma. Un delirio. Ci sono stati una serie di party a cui proprio non sono riuscito a sottrarmi… Tutto ha avuto inizio appunto con la festa di San Patrizio, patrono d’Irlanda e degli irlandesi, ed è stata dura fratello, molto dura! La giornata è stata tra le più lunghe della mia vita… E’ letteralmente iniziata come una carnevalata ed è finita com’era iniziata: una carnevalata verde, Verdissima. E’ praticamente esplosa col suo carico di birra e con esperienze che, credo, mi ricorderò per un bel pezzo.

Lascia che ti racconti.
La mattina mi sveglia Bobo salendo in camera tutto trepidante e già regge in mano una Carlsberg e porta sulla testa un buffo cappello a tuba verde che lo fa sembrare uno di quei Leprechaun delle favole, di quelli che se li segui non sai mica dove ti portano, e in quali guai ti caccerai. Quel cappello mi sembrò anche più buffo perché aveva uno di quei supporti capaci di contenere fino a due lattine, dotati di tubicini di plastica per bere. Lo avevo già notato al pound shop, che li vendeva appunto a solo 1 pound, e lui se ne era procurato uno, in vista dei festeggiamenti.
“Colazione?”, dice, mentre mi allunga la lattina, mentre la stappa col suo tipico pssstz.
Un veloce slainte per colazione e ci ritroviamo per le strade, già piene di carri, il vento è forte e piove un po’, ma tutti sono allegri, vanno alla parade vestiti di verde e pensano solo ad incontrare amici e bere tanta buona Guinness.
Gente di Derry e della contea e anche molti turisti, e verde, verde ovunque! E poi pupazzi protagonisti della vita del santo ci sfilano davanti, un po’ santi e un po’ serpenti… anche loro, ci diciamo, hanno già alzato il gomito.
Così la giornata prosegue alla grande e ci incontriamo con gli altri, e ci dimentichiamo del pranzo e della cena.

Poi i ricordi affiorano a sprazzi nella memoria… Dopo quelle otto pinte ingurgitate mentre parlo di politica con Imanol il Basco, mi trovo a ballare vorticosamente con una cattolica di Belfast, spillo birre con il beneplacito della folla da dietro il bancone del pub che poi ci caccia tutti e chiude; giro poi a tarda notte nel bel mezzo di una tempesta di ghiaccio alla ricerca disperata di un riparo e di un taxi, rischio di fare a botte con un ubriaco con la maglia del celtic in un Fish&Chips nel Waterside che mi ha preso per un polacco, quando riappare non so da dove quella tipa di Belfast che interviene e mi porta con sé. Mi sveglio la mattina sul pavimento a casa di non so chi, quindi mi rincammino, ciondolante e confuso, verso il Cityside, verso casa.

I giorni successivi li ho passati a riprendermi, ma non potevo nemmeno abbandonare il lavoro, né le mie attività preferite, così mi sono ritrovato, ieri, a festeggiare il mitico capodanno iraniano, a ballare al Da Vinci con i miei ex-coinquilini iraniani, primo fra tutti Sirous, che era presissimo, tutto in ghingheri e camicia bianca, e sua moglie. Poi a mezzanotte ecco che suona, da Teheran, la radio con l’inno nazionale, e che musica! Mi sentivo a casa, davvero! Gli iraniani sono un gran popolo, quando vieni te ne presento un po’, sono grandi amici!

Che ti devo dire, magari a te ‘ste storie sui bagordi sembreranno infantili, crederai che il tuo ormai non più giovanissimo fratello stia solo perdendo tempo… ma tu sai che ho scelto di dare un po' di energia alla mia vita, vita che in Italia ristagnava da un po', e credo di poterne trarre grandi benefici.
Comunque sappi che il sacrificio c'è, non è sempre festa qua, e mi mancano tutti a casa, e i vecchi amici. E ovviamente mi manchi un sacco anche tu, fratello!

*

martedì 15 febbraio 2011

Davanti ai miei occhi


*

Ero timida durante le lezioni di flauto, sia con un maestro sia con l'altro. Una timidezza tale che ora la devo scrivere scegliendo parole e forma, mi sembra persino impossibile. Col primo maestro forse essa poteva trovare una certa giustificazione, ero perdutamente innamorata di questo giovanissimo uomo e il tremore, il batticuore avevano le loro ragioni. Sudavo, le mani tremavano, le spiegazioni che mi dava non si fissavano bene in testa... i miei pensieri erano altrove, fantasticavo... ma mi sembrava un sogno troppo lontano, mi sentivo piccola e soprattutto brutta. Avevo dodici anni e lui cinque più di me, ed ero stata scoperta: "Non sarà che ti sei innamorata di Gianni...". Udivo la voce di mia madre mentre guidava e mia sorella seduta davanti e io dietro a guardare la luna piena, zitta. Loro alleate e io sempre più silenziosa. - Dallo scritto autobiografico di C.G., Archivio Anghiari 2007
Sfogliando il volume di Duccio Demetrio sulla timidezza di cui vi ho già parlato, ho incontrato questa testimonianza autobiografica da lui raccolta nella Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari. E' una ragazza che parla del suo rapporto con il maestro di musica. E' solo una ragazza, ma se penso ai miei allievi e alle tre allieve che si ritrovano con loro a prendere lezioni da me, mi domando cosa significhi l'impaccio, l'imbarazzo, l'esitazione, il rossore di una di esse che mi fa dubitare di lei. Bastano pochi sguardi, più lunghi del necessario e più intensi di quelli di un allievo che abbia la testa piena di musica per pensare che potrebbe darsi per lei una situazione paragonabile a quella della ragazza dell'autobiografia.

Questo accade talvolta sotto ai nostri occhi. Quello che vediamo è poco. Siamo autorizzati a pensare che di altro si tratti, che quei segni siano portatori di significati per noi, che riguardino noi? Sono convinto che non lo sapremo mai, almeno quando si tratti di persona schiva, che farà di tutto per nascondere emozioni e sentimenti. Troppe cose impediscono di agire diversamente. Un precoce senso della solitudine, inizialmente subita, ma poi sempre più riconosciuta come inevitabile e, tutto sommato, cara compagna dei giorni. Il senso del corteggiamento e dell'inizio. Anche a me è capitato - e capita ancora oggi! - di essere affascinato dalle cose al loro inizio. Sarei tentato di dire che mi interessa solo quello. Quando vedo un film d'amore, sono proteso interamente a godere tutti i preliminari di una storia d'amore: quanto più lento è il cercarsi e l'avvicinarsi senza esprimere ancora i sentimenti, tanto più mi piace la storia! Penso che quegli istanti siano eterni.
Abbiamo qualcuno di fronte a noi che esiste, semplicemente. Parla e gesticola, ma soprattutto esprime con tutti i muscoli della faccia le infinite emozioni che prova. E a noi sembra di coglierle tutte. E vorremmo tenerle per noi, che fossero dedicate tutte a noi. E ci si innamora per un po' di quella delizia del volto, che non è più solo una faccia. E' già un volto, una nostra costruzione, ma non un'invenzione campata in aria: ci siamo messi già a istituire file di continuità, ad immaginare un seguito alla storia, che vogliamo far durare, che vorremmo non finisse mai. Ma stiamo già costruendo castelli in aria! Ci illudiamo già che possa durare. La macchina del desiderio si è messa in moto...

Ma con un'allieva è diverso. Dobbiamo nascondere ogni più innocente moto dell'anima, per non turbare il rapporto educativo che ci lega. Dentro quel poco cercheremo di investire molto, facendo della musica il terreno per incontrarci, mettendo tutta la nostra innocenza, perché è sempre così: quando davanti ai nostri occhi si mostra la bellezza non siamo solo spaventati da essa, la mente si rallegra. Ci apriamo a nuove evidenze. Quello che appare ci piace, ci chiama. Dobbiamo, però, sostare un po' a considerare quanto di quella bellezza ci appartenga, quanto possa essere godimento effettivo, anche se furtivo. Nessun cedimento è concesso. Al più, il piacere di osservare, pensando di non essere scoperti. Così ci allontaniamo anche noi - magari come un'allieva schiva - custodendo nel cuore il segreto di un giorno.

*


*





domenica 13 febbraio 2011

Legna da ardere


*

Un turnista non è privo di occhi e di mani. Di queste e di quelli si servirà per dire, magari con un piano, quello che ha visto. Se è un pianista. Non vorrete negargli il privilegio di essere esecutore, io dico anche interprete!
Se una canzone degli anni sessanta vi apparirà esattamente come l'avete sempre goduta, vorrà dire che lui con le sue mani avrà restituito, senza saperlo, movenze e pause che coincideranno con le vostre attese.
C'è poi il compito di trasmettere ai propri allievi quello che hanno visto i vostri occhi, se siete un turnista. Nella vita di tutti i giorni prima ancora che ci si parli, ci si guarda negli occhi. E sono gli occhi che ci consentono di farci intravedere qualcosa, a volte qualcosa di essenziale, nella persona che è davanti a noi: nelle sue emozioni e nei suoi stati d'animo. Sono le parole che consentono poi un'altra, ben più complessa comprensione di quello che si è svolto e che si svolge nella storia di un'anima. Ma le parole hanno bisogno degli occhi, degli sguardi, delle loro infinite espressioni, se intendono essere sincere e se intendono essere prese sul serio da chi ascolta. Ma anche gli occhi hanno un loro linguaggio. Occhi, e sguardi, e voce contribuiscono a fondare la nostra identità, a dare voce alla nostra anima e al nostro destino. La medicina non ci dice che dagli studi sull'occhio e sulla visione sia venuto fuori anche lo sguardo: questo soltanto è incontro con il destino delle persone con cui veniamo a contatto. Gli occhi non solo vedono ma ascoltano il visibile e l'invisibile. Essi avvertono il mistero di un'anima, che si manifesta nella sua fuggitiva ragione quando gli occhi dell'altro si illuminano in uno sguardo. E' lo sguardo che dà senso all'esistenza altrui. E' dallo sguardo dell'altro che riceve senso la mia esistenza.
Considerate ora queste parole:
Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...

Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace...

You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one
e provatevi a pensare come 'entrare' in una esecuzione della nota canzone. Si tratterà di semplice esecuzione? di bravura strumentale? Non dovrete metterci niente di vostro? E cosa, se non il cuore? Quello che ha sentito e visto un artista prima di voi non dovrete vedere e sentire anche voi per poterlo interpretare? E questo non è poi ciò che vi aiuterà ad esprimere originalmente quello che vedete e sentite voi?

Ritrovarsi a leggere la lettera di una studentessa di liceo che lamenta la condizione di chi, essendo giovane, non può nutrire troppe speranze, dati i tempi, non dispone bene all'inizio di una giornata. Non che sia preferibile non pensare ai problemi dei giovani, ma fa male al cuore scoprire fino a che punto sia giunta la disperazione: trovare un lavoro che duri, un amore che duri, una vita che non riservi brutte sorprese... Lo studente si aspetta di essere sostenuto dagli adulti e dagli Educatori. Egli vuole su di sé uno sguardo che lo concepisca non come vaso da riempire, ma come legna da ardere. Non vuole solo sacrifici e rinunce, ma anche calore e passione. Io sento questo compito: ai miei allievi non debbo insegnare solo uno strumento, i segreti dell'arte, della tecnica. Debbo incendiare i loro cuori, perché sentano il calore delle parole di una canzone. Perché le pieghe dell'anima si facciano finalmente musica. Perché non si riducano mai a scrivere 'sulla' musica, ma 'con' la musica, restando musicalmente complici del suo mistero come del mistero della vita.

*


*

venerdì 4 febbraio 2011

Dentro un'impazienza

*
Sono fermo qui, in mezzo ad un'impazienza di cui debbo liberarmi al più presto. Avevo tra le mani La vita di schiva di Duccio Demetrio, che ho preso a leggere perché è di me che parla e sento che mi accompagnerà a lungo, per molto tempo ancora, dopo aver tentato di leggere fino in fondo: non sarà facile, infatti, esaurire un'opera che ad ogni nuovo capitolo mi immette nel mezzo di una verità che mi costringe a fermarmi, a riflettere, a verificare, a sperimentare. Soprattutto, a riflettere. E' doloroso andare avanti. Le cose appena lette fanno male. Sono così vere che debbo fare qualcosa: non posso continuare a leggere oggi. E oggi significa: in questi giorni, in queste settimane. E' sempre così: sono un cattivo lettore. Impiego molto tempo ad esaurire un libro. Demetrio esalta la virtù dell'indugio nella vita schiva, ma per me è tormento. Mi sembra di essere inconcludente, di non riuscire mai a concludere nulla: salto di palo in frasca. Mi lascio distrarre da sempre nuove intuizioni, che mi portano lontano dalla lettura di oggi...

E l'impazienza che mi allontana da me, per portarmi su sponde non meno importanti per me è un altro libro di Demetrio che ho trovato in libreria in bella mostra accanto all'opera dedicata alla timidezza. Si tratta de L'interiorità maschile. Le solitudini degli uomini. Opera immensa, piena di lezioni, tutte da apprendere. Ancor più dolorose. Dopo l'elenco dei vizi, le possibili virtù. Ho cercato sul sito della casa editrice. Poi sui siti di Demetrio. Sarebbe veramente lungo raccontare le scoperte, che vi risparmio. Vi basti solo questa: Demetrio ha inventato una Università dell'Autobiografia! Insegna a scrivere di sé, a raccontarsi. Uno dei suoi libri importanti è proprio Raccontarsi. L'autobiografia come cura di sé. Capite da dove nasce l'impazienza? Avrei dovuto comprare anche quest'ultimo libro? Sicuramente lo farò, per capire cosa io stia facendo, se questo scrivere nasce da un bisogno di 'cura', ma non capisco di che cosa! Allora, non sono del tutto sano? Perché scrivo di me, in queste forme a volte poco narrative? Per evitare il nucleo caldo e doloroso della materia del mio vivere quotidiano, perché lì è nascosta la ragione per cui non ho mai suonato in pubblico in un gruppo jazz? Cosa temo? Improvvisare non è forse la stessa cosa che vivere? Dunque, ho paura di vivere?

Sento come una febbre addosso, ora. Debbo tornare assolutamente a cercare dentro il libro da cui sono partito. Montaigne dice che la timidezza è stata la gabbia in cui è stata rinchiusa tutta la sua vita. Perché queste parole sono così dure da comprendere per me? Non è forse questo anche il mio destino? Demetrio aggiunge al titolo della sua opera un sottotitolo che suona così: Il sentimento e le virtù della timidezza. Non un vizio o una menomazione, dunque. Un sentimento. Da cui possono germinare virtù che sono proprie della vita schiva. La timidezza, da tratto del carattere, deve farsi vita schiva.

Sapete cosa ho scoperto alcuni giorni fa? Una delle mie allieve sta leggendo il libro di Demetrio! Mi sta 'seguendo'? Oppure, è una felice coincidenza? Ho trovato un compagno di sventura? Ecco, ho detto 'sventura'. E' così, io penso che un timido non sia poi così fortunato. Che abbia a che fare con una materia 'bassa', di cui sarebbe meglio non parlare. Adesso mi sarà un po' difficile guardare negli occhi quella allieva. Non mi piace condividere una debolezza con una donna... Insomma, debbo procedere per conto mio. Di nuovo la solitudine. Tutto torna. Debbo continuare a legge e farmi guidare per mano da Duccio Demetrio. Si può raccontare una lettura? Beato mio fratello Dario! Lui non ha mai avuto di questi problemi. Per lui la vita è un calice da bere fino in fondo ogni giorno, senza esitazione. Altro che indugio! Non gli sfugge nulla della vita. Ma nemmeno a me la vita sfugge! Si tratta di vedere bene di che pasta io sia fatto, in fondo.

Adesso non mi sembra di essere più impaziente. Forse, non sono veramente insoddisfatto di me. Forse la mia vita sta prendendo decisamente la piega di una 'vita schiva'. Forse non di 'malattia' si tratta. Non di un neo del carattere. Forse, raccontando ancora riuscirò a dire meglio cosa accada intorno a me. Ma soprattutto dentro di me. E' questo il paesaggio che preferisco contemplare. Da lì nascono le note della mia musica. Forse, ho motivo di sperare per me.
*

*


*


*

giovedì 3 febbraio 2011

Forse un canto

*
La timidezza è stata la prigione della mia vita MONTESQUIEU

«La timidezza - solo i timidi lo sanno, non per passatempo ma per virtuosa perseveranza - può essere e diventare melodia di un'esistenza, seppure sottotono e sommessa. Percepibile appena, nel suo segnale smorzato. Inudibile da orecchie che non vi siano avvezze. Tanto più che, come scrisse Maria Zambrano, se "I cieli sono molteplici" e "Cielo al singolare è un'astrazione", ogni cosa, i sentimenti ancor più, va colta nella sua molteplicità. Esistono le timidezze, che qualcosa hanno da condividere fra di loro, senz'altro il rapporto con la solitudine. Rifuggito da chi ha la vita funestata dalle fobie, cercato da chi le paure ha saputo ammaestrare».

Fin qui Duccio Demetrio, l'autore di un libro curioso che ho scoperto in una libreria al centro di Tolentino: La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza. La citazione di Montesquieu è rubata da lì. Il paragrafo introduttivo è fatto con le parole di Demetrio. Si apre così un capitolo intitolato Schiavitù o forse un canto? - Ho voluto intitolare questo post Forse un canto per dare una risposta: io sono in una fase della mia vita in cui mi esprimo, riesco ad esprimere i contenuti della mia esperienza. Lo faccio come turnista, come amante e come insegnante. Ma sono anche figlio, fratello... Alle mie cose riesco a dare valore, perché nei lunghi momenti di pausa - come quello trascorso fra il 13 dicembre e il 3 febbraio - mi chiudo nella mia solitudine. Ma forse sarebbe più giusto dire: mi apro nella mia solitudine, perché sono quelli i momenti magici in cui il cuore canta. Parlo con Martina delle cose che non sono riuscito a dirle nel rapporto faccia a faccia. Parlo con i miei allievi di musica. Parlo con me stesso.

Faccio anche i conti con le mie paure. Le osservo. Le studio. Le analizzo. Ripercorro con la memoria i piccoli passi che mi hanno portato a fermarmi spaventato, anche per una piccola cosa. Questo esercizio non mi è stato insegnato da nessuno. I timidi lo sanno bene. Non fanno altro che chiedersi perché e come siano arrivati a tanto. Ad ogni fallimento, ad ogni blocco bisogna continuare a pensare. Lo facciamo subito, appena rientrati a casa, o dopo un incidente con qualcuno che abbia fermato il corso delle cose, paralizzando la lingua e il cuore.

Il subbuglio del cuore è ingorgo emotivo, rossore, immediato senso di colpa. Quando frequentavo la Scuola elementare, ricordo nitidamente episodi tutti uguali e dolorosi per me. Se qualcuno aveva rubato una merenda a un compagno e la maestra ci guardava con occhio torvo cercando di smascherare il colpevole, io arrossivo. Anche se non ero stato io. I timidi sono colpevoli. Sempre. Forse Kafka era un timido. Mi hanno detto che tutta la sua opera è attraversata dal sentimento della colpa. Addirittura avrebbe scritto di essere colpevole comunque, anche se convinto di non aver commesso alcunché. Fatte le debite proporzioni - non intendo certo paragonarmi a lui! -, si potrebbe dire che è la stessa cosa. Quante volte il timido si addossa la responsabilità di cose che non sono nate da lui?

Con Martina è un po' diverso. Lei sa di me. Mi prende in giro. E questo non sempre mi piace. Quando se ne approfitta, va a finire male. La pianto lì e me ne vado. Mi chiudo in camera e mi immergo nel suono del mio pianoforte. Continuo così la discussione con lei. Ecco, la solitudine è questo per me. Sono i momenti in cui debbo riconciliarmi con qualcuno. E lo faccio nei modi che conosco io. Il dialogo continua con una pagina di Miles Davis. Perciò dicevo: mi apro nella mia solitudine. Se Martina ha chiuso il mio cuore, in solitudine lo riapro e imparo così a fare da solo quello che sicuramente imparerà anche lei, cioè a chiudere e ad aprire.

Io sono ben nascosto per un po' in quella stanza inaccessibile con la porta spalancata in attesa. Se nessuno verrà a dire parole nuove, provvederò io, magari con una canzone di Cole Porter, perché l'amore non è sempre come una sonata di Bach. Più spesso è come una canzone. E bisogna cantare. Ingannare il tempo che passiamo a recalcitrare contro il Destino, perché si levi almeno sommessamente un canto nuovo ad ogni esitare della vita e ad ogni pausa imposta dai capricci del cuore.


*

L'eco di un frammento

*
Dopo le pause dell'anima, dopo la riflessione e l'indugio, occorre dire chi e cosa sia intervenuto a interrompere il corso delle cose. Come se il cuore stesso non battesse più! Possiamo invocare a pretesto del silenzio l'ingorgo dei sentimenti e delle emozioni, un interdetto, cioè un'intimazione a non procedere, addirittura a desistere, sicuramente la piega delle cose che suona come Destino e irrevocabile trascorrere del tempo.
Il 13 dicembre ci eravamo fermati perplessi di fronte a un dialogo interrotto. Il tempo che ci separa da quel giorno di dicembre è servito a riscaldare il sangue, a uscire dallo stallo in cui siamo stati chiusi.
Immaginate che una ragazza folle di miele si pari davanti a voi in una fredda sera d'inverno e che vi dica cose insensate a proposito di quello che avreste potuto fare insieme se non aveste rimandato più volte un appuntamento con lei. E immaginate ancora che chiami in causa addirittura la vostra condizione di persona impegnata sentimentalmente, sfidandovi sul terreno che credevate più sicuro. Considerate i dolci pensieri e la tensione verso un approdo improbabile perché carico di incognite e di rischi. Pensate pure di avere a che fare con una squinternata impenitente, che trascorre da una storia all'altra senza darlo a vedere, ma che magari vi racconta pure le ultime tre o quattro storie consumate allegramente. Ma tenete presente che non di una pazzerella si trattava ma di una donna, di un'austera bellezza femminile di altri tempi, che contrastava sonoramente con le chiacchiere e il gesticolare infantile. Come se quel contrasto fosse la spia di un modo di proporsi volutamente scanzonato e sincero, ma in realtà maschera di un dolore nascosto e di una pena inconfessabile.
Il pensiero va subito al compito che un maschio avverte come un imperativo morale, ma anche come un dolce che si distilla nel cuore: "consolare gli afflitti" non era un dovere di altri tempi? Perché, però, mi viene alla mente un'espressione così vieta e stanca? Di nuovo, mi ritroverò a donare sangue a fondo perduto? a procedere dimentico di me, facendomi risucchiare dal vortice di questa bellezza scomposta perché asimmetrica, diseguale, giacché l'esterno di questa donna sicuramente non corrisponde alla realtà della sua anima?
Immaginate l'insinuante ammiccare e il distratto discorrere delle cose più futili, quasi a voler generare la curiosità che si richiede per stabilire poi file di continuità... Insomma, gli ingredienti per un maledetto imbroglio c'erano tutti il 13 dicembre, ma non vorrei deludervi ora lasciandovi credere che io abbia corrisposto alle attese della donna-fanciulla in cerca di guai. Se una avvenente ventiquattrenne dall'aspetto virgineo, infatti, vi butta lì: "Ti chiederai cosa io ci faccia qui! Che cosa cerchi... Ti dirò: cerco guai!", ditemi voi se non deve suonare il campanello d'allarme della sonnecchiante coscienza, già quasi sedotta e annichilita - mi dicono che ho sempre subito il fascino femminile (come se fosse cosa originale ed esclusiva!) - dall'offerta per niente tacita di sé da parte di una donna desiderabile e seducente, che nasconde il suo cuore di fanciulla dietro la coltre spessa della spavalderia e della chiacchiera apparentemente disinteressata: come se non ce l'avesse proprio con voi! come se i guai non li cercasse con voi! State freschi a dire che al cuore non si comanda! Siete a un passo dal sì, magari appena sussurrato. Ma poi, sì a che cosa? Nessuna richiesta esplicita era stata formulata. Piuttosto, direi, un'esca era stata lanciata. E occorreva farsi pescatore di anime (in pena), magari vogliose di attaccamento casuale e occasionale, perché non è mai chiaro se le circostanze della vita ci interpellino per un concerto di Bach o per una canzone di Cole Porter! Voi mi direte: sempre musica è; sempre per gli occhi verdi di una zingara ci ritroveremo a dimenticare Dio, ma considerate un po' i miei quattro impegni, le cose faticosamente guadagnate con gli anni, Martina, le lezioni private, Tolentino, l'invincibile pudore di un maschio di altri tempi, e il gioco è fatto.
Per tutto il tempo della 'recita' che si svolgeva davanti a me non ho fatto altro che sorridere compiaciuto e lusingato, visibilmente emozionato. Ho finto di non vedere la donna che era dietro la fanciulla che giocava. Ho giocato anch'io, fino allo 'scioglimento', dopo l'affievolirsi della voce e l'attenuarsi della tensione erotica. Non avevo più voce. Non parole. Solo un sottile desiderio di un altro tempo da vivere con lei, ma con l'altra che era in lei, per fortuna ben nascosta e chiusa con serrami e lacci e porte che la rendevano inaccessibile. Solo il mio sguardo poteva agevolmente posarsi su di lei, ché la sua anima era chiaramente protesa verso di me, bocca spalancata nel grido trattenuto. Forse era amore quello che il grido non diceva.
Lungo le strade del mondo ci ritroviamo tutti talvolta, affannati e soli, a chiedere che sia balsamo e sponda una voce che pure si protende verso di noi. Magari vorremmo che quella voce si facesse abbraccio e altro ancora, che solo i nostri sogni ad occhi aperti riescono a dipingere nell'aria fredda della sera. Ma il tempo se ne porta il profumo nel severo incedere della notte. Ciò che resta è solo l'eco di un frammento. La vita è veramente altrove!


*