Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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domenica 13 febbraio 2011

Legna da ardere


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Un turnista non è privo di occhi e di mani. Di queste e di quelli si servirà per dire, magari con un piano, quello che ha visto. Se è un pianista. Non vorrete negargli il privilegio di essere esecutore, io dico anche interprete!
Se una canzone degli anni sessanta vi apparirà esattamente come l'avete sempre goduta, vorrà dire che lui con le sue mani avrà restituito, senza saperlo, movenze e pause che coincideranno con le vostre attese.
C'è poi il compito di trasmettere ai propri allievi quello che hanno visto i vostri occhi, se siete un turnista. Nella vita di tutti i giorni prima ancora che ci si parli, ci si guarda negli occhi. E sono gli occhi che ci consentono di farci intravedere qualcosa, a volte qualcosa di essenziale, nella persona che è davanti a noi: nelle sue emozioni e nei suoi stati d'animo. Sono le parole che consentono poi un'altra, ben più complessa comprensione di quello che si è svolto e che si svolge nella storia di un'anima. Ma le parole hanno bisogno degli occhi, degli sguardi, delle loro infinite espressioni, se intendono essere sincere e se intendono essere prese sul serio da chi ascolta. Ma anche gli occhi hanno un loro linguaggio. Occhi, e sguardi, e voce contribuiscono a fondare la nostra identità, a dare voce alla nostra anima e al nostro destino. La medicina non ci dice che dagli studi sull'occhio e sulla visione sia venuto fuori anche lo sguardo: questo soltanto è incontro con il destino delle persone con cui veniamo a contatto. Gli occhi non solo vedono ma ascoltano il visibile e l'invisibile. Essi avvertono il mistero di un'anima, che si manifesta nella sua fuggitiva ragione quando gli occhi dell'altro si illuminano in uno sguardo. E' lo sguardo che dà senso all'esistenza altrui. E' dallo sguardo dell'altro che riceve senso la mia esistenza.
Considerate ora queste parole:
Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...

Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace...

You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one
e provatevi a pensare come 'entrare' in una esecuzione della nota canzone. Si tratterà di semplice esecuzione? di bravura strumentale? Non dovrete metterci niente di vostro? E cosa, se non il cuore? Quello che ha sentito e visto un artista prima di voi non dovrete vedere e sentire anche voi per poterlo interpretare? E questo non è poi ciò che vi aiuterà ad esprimere originalmente quello che vedete e sentite voi?

Ritrovarsi a leggere la lettera di una studentessa di liceo che lamenta la condizione di chi, essendo giovane, non può nutrire troppe speranze, dati i tempi, non dispone bene all'inizio di una giornata. Non che sia preferibile non pensare ai problemi dei giovani, ma fa male al cuore scoprire fino a che punto sia giunta la disperazione: trovare un lavoro che duri, un amore che duri, una vita che non riservi brutte sorprese... Lo studente si aspetta di essere sostenuto dagli adulti e dagli Educatori. Egli vuole su di sé uno sguardo che lo concepisca non come vaso da riempire, ma come legna da ardere. Non vuole solo sacrifici e rinunce, ma anche calore e passione. Io sento questo compito: ai miei allievi non debbo insegnare solo uno strumento, i segreti dell'arte, della tecnica. Debbo incendiare i loro cuori, perché sentano il calore delle parole di una canzone. Perché le pieghe dell'anima si facciano finalmente musica. Perché non si riducano mai a scrivere 'sulla' musica, ma 'con' la musica, restando musicalmente complici del suo mistero come del mistero della vita.

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