*
«Dentro di te c'è un fatale angolo morto». Quando gli occhi sono caduti su queste parole, alla pagina 474 de L'uccello che girava le viti del mondo, di Murakami Aruki, ho provato la sgradevole sensazione che si riferissero a me, che l'Autore le avesse messe lì apposta, per indicarmi severamente che qualcosa in me non va. Naturalmente, non mi sono mai fatto suggestionare dalle coincidenze. Ma poi, quali coincidenze? Che cosa c'entra con la mia vita una frase buttata lì da uno scrittore, a segnalare la condizione di un personaggio che entra ed esce dai suoi sogni senza ricordare bene a volte cosa sia sogno e cosa realtà? Fatto sta che non è finita lì, perché mi sono portato dietro per giorni il peso di una sentenza che suonava come monito per me. Ho risposto, allora, all'invito di un amico regista, un giovane che vive a due passi da una Chiesa vecchia di mille anni che ha voluto farmi conoscere, perché convinto che lì avrei trovato forse una risposta alle mie inquietudini. Egli sa bene che un tempo ero credente appassionato, che a tratti comunicavo con l'aldilà: poteva farmi bene immergermi in un'atmosfera mistica per un po'. Ho accettato la sfida e mi sono diretto di buon mattino verso i luoghi designati per l'esperienza esemplare, segretamente preoccupato che veramente potesse accadere qualcosa di indesiderato.
Sotto le volte e le colonne del tempio ho aspettato che succedesse qualcosa, ma sembrava che non fosse quello il tempo per uno scioglimento: i grumi di dolore che impedivano l'accesso al nucleo nascosto nel fondo dell'anima resistevano alla dolcezza che pure si distillava nel cuore. Altre voci risonavano in me. La voce di mio padre. Il canto domenicale. Alcune preghiere recitate da bambino. E musica. Tanta musica! Corali. Organi. Clavicembali. Spinette. Dov'ero io? Che ne era della parte di me che pure rispondeva alle voci? Una lieve commozione mi prendeva alla gola. Ma non ho voluto 'proseguire'. So che quel dolce tornerà. Ma in quel momento era troppo, era già troppo per me!
Sotto le volte e le colonne del tempio ho aspettato che succedesse qualcosa, ma sembrava che non fosse quello il tempo per uno scioglimento: i grumi di dolore che impedivano l'accesso al nucleo nascosto nel fondo dell'anima resistevano alla dolcezza che pure si distillava nel cuore. Altre voci risonavano in me. La voce di mio padre. Il canto domenicale. Alcune preghiere recitate da bambino. E musica. Tanta musica! Corali. Organi. Clavicembali. Spinette. Dov'ero io? Che ne era della parte di me che pure rispondeva alle voci? Una lieve commozione mi prendeva alla gola. Ma non ho voluto 'proseguire'. So che quel dolce tornerà. Ma in quel momento era troppo, era già troppo per me!
*
Nessun commento:
Posta un commento