Bologna, 19 novembre - Ieri sera, alle 22, Emilio Marinelli ha aperto la serata. La prima parte del suo set è stata non lineare, scorbutica a tratti. La tensione tra i musicisti era evidente, anche per il pubblico. I primi due pezzi, in particolar modo, hanno spiazzato un po' tutti. L'energia era trattenuta da un tappo che poi è esploso nell'ultimo pezzo del primo set, quando finalmente la carica repressa ha invaso la sala piena.
Un suo piano solo, totalmente improvvisato, è stato il preludio di una fine degna di una jam session, con il pubblico totalmente partecipe.
Nel secondo set il gruppo ha iniziato in modo più aggressivo, cercando subito un contatto diretto con il pubblico.
Anche stavolta poco partecipe, a tratti bloccato, il pianista, Kekko Fornarelli, che si riscatta ampiamente nel terzo brano, che tutt'a un tratto diventa un piano solo intimo, riflessivo, con il pubblico attento ed emozionato. Fornarelli, a questo punto, si prende tutto il suo spazio con un vero e proprio piano solo, premessa di un brano nordico ma non glaciale, scritto del compositore Gianpaolo Venditti.
Il terzo set vede anche qui il pianista, Simone Graziano, totalmente bloccato, quasi impacciato e goffo. Il resto del gruppo, percepita la momentanea empasse del loro collega, ha cercato di riempire il suo spazio, ma qualcuno tra il pubblico ha probabilmente capito che qualcosa non funzionava.
Il pezzo in piano solo, Darkness, oscurità, ha dato invece nuova luce a Graziano, che del tutto ripresosi dall'iniziale blocco chiude briallantemente la serata, mettendo in luce il suo linguaggio che denota anche una preparazione classica.
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Sono nato ad Ancona e ho per parecchio tempo della mia vita vissuto a Falconara Marittima (ridente cittadina sulla raffineria), probabilmente per troppo tempo....
Di conseguenza sono lento, lentissimo ad imparare e migliorare ed inoltre ho sempre fatto tutti i percorsi formativi (e non) al contrario. Ho iniziato suonando in pubblico:
gruppi rock, poi R&B poi Funk (molto funk) e infine jazz. Chiaramente dopo tutto ciò non potevo non affrontare il repertorio classico e con molto, moltissimo, elefantiaco sforzo.
Mi sono diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, il mio compagno di classe aveva 11 anni, io 33. In questo lasso di tempo vitale ho fatto di tutto. Da suonare in un camioncino della frutta davanti ad anziani non troppo contenti di vederti a tournee` negli stadi di tutta europa, o pop star come Bocelli, o spettacoli teatrali, oppure concerti nei club (le bettole) jazz con Americani ed Italiani (ENRICO RAVA, BOB BROOKMEYER, KENNY WHEELER, XAVIER GIROTTO, CAMERON BROWN, GIULIO CAPIOZZO......). Non so se e' bene o male muoversi a zig zag, ma ad andare dritto non sono mai riuscito. La dimensione che preferisco però è quella dei piccoli posti, niente camion di luci o mega palchi, solo una persona e il suo strumento, niente di superfluo o eccessivo: just you and them. Qualche metro di spazio e l'energia di chi suona e chi ascolta.
Comunque studio molto, conto di essere pronto a fare il pianista entro i prossimi 20 anni.
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Suonare il piano è per me un karma, più che una scelta. Vivere 28 dei miei 32 anni in un'alternanza di amore e disincanto mi pone ancora dinanzi alla domanda del "chi sarò domani?". Infanzia ed adolescenza immerso nella musica classica poi, d'improvviso, il jazz. Non l'ho studiato, l'ho fatto mio. Prima, divorando tutto ciò che mi capitava fra le mani, poi, parlando di me con il mio jazz, arricchendomi da tutti gli artisti che ho conosciuto e con cui ho suonato, trasferendomi in Francia, registrando i miei tre dischi. Oggi, penso che la bellezza della musica sia nella soggettività, nel farla e nel recepirla. In tanti, nel jazz, hanno dimenticato il messaggio che lo stesso voleva dare: Libertà. Possiamo piacere a mille persone o anche solamente ad una. Bisogna solo avere la voglia di cercarla, questa persona. Ovunque essa sia.
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Mi chiamo Simone di nome, Graziano di cognome. Sono Nato a Firenze negli ultimi giorni dell’ultimo anno degli anni ’70 ed è per questo forse che amo l’autunno, le foglie morte, i finali e le code, e il numero 7. A mia madre devo l’amore per il pianoforte e per la musica in generale. A me stesso, la follia con cui l’ho coltivata in questi anni. Ho studiato jazz alla Berklee school di Boston e mi sono diplomato in pianoforte al Conservatorio col massimo dei voti. In “Lightwalls”, titolo del primo disco a mio nome a fianco di due geni spericolati quali Ares Tavolazzi e Stefano Tamborrino, ho cercato il rapporto tra musica e luce e il modo in cui queste si influenzano reciprocamente. Odio Firenze, ma dal momento che son trent’anni che tento invano di abbandonarla, forse, l’amo.
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