Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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martedì 5 ottobre 2010

Certe cose

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Certe cose ci puntano contro il dito e ridono.

Certe cose
si nascondono agli occhi della gente
e si odono
piangere sommessamente.

Certe cose cadono dal cielo:
cose nere informi, mostri
della notte e terrore
dei giorni.

Certe cose sembrano essere state predisposte
da Dio e dal Diavolo.

[...]

Certe cose sono come le aquile.
Vivono in alto -
possono benissimo dimenticare la valle.

Certe cose sono come il terremoto:
utilizzano tutte le nostre paure.

Certe cose sono come la Bellezza che è morta da tempo:
solo l’acqua profonda del pozzo può lavarle e destarle.

EMANUEL CARNEVALI, Certe cose (da Il primo Dio)

A volte la memoria dell'acqua è portata alla superficie delle cose da una lacrima che affiora da un cuore vuoto. Quanta strada è stata percorsa prima che da quel fondo oscuro emergesse prepotente il pianto, a scandire come un singhiozzo a lungo trattenuto il bisogno d'amore?
Ritrovarsi ad ascoltare una persona importante che per due ore parla d'amore e di casa e di radici, e vedere insieme una ragazza piangere per due ore silenziosamente fa male al cuore. Ma di quanto amore hanno avuto bisogno i nostri ragazzi, se poi ci sembra che non ne abbiano ricevuto a sufficienza o non ne abbiano ricevuto per niente!

Ho chiesto al figlio di un amico di mio padre alcuni giorni fa, mentre recriminava contro la vita e tutto il resto: "Ma tu hai mai provato a chiederti cosa veda tuo padre in te? Se ti ami? Tu non credi che tuo padre ti ami? Conosci il suo amore per te?" - Non ci crederete, ma mi ha risposto che non lo sa! Lui non sa se suo padre lo ama oppure no!
Mi viene da dire: ma come si fa ad andare in giro per le strade del mondo senza sapere se si è amati oppure no?
Questo è ciò che io chiamo "essere senza radici".

E' stato scritto che noi siamo alberi. Ognuno di noi è un grande albero. Non un alberello o un albero qualsiasi: un grande albero. La sua legge è da ricercare nelle radici profonde che esso affonda nella terra. Se abbiamo avuto molte relazioni e grandi amori, se abbiamo provato grandi dolori, tanto più numerose e profonde saranno le nostre radici.

Quando scrissi "errante radice" non volevo dire "senza radici". Magari, sono le due case, le due Patrie che vivono in me a farmi sentire lacerato tra l'una e l'altra: da una parte la casa di mio padre, dall'altra l'appartamento in cui vivo solo. Ma non è questa una ragione che mi faccia sentire spaesato e oppresso da chissà quale disagio.

L'albero porta una casa dentro di sé. E' la casa che costruiamo nel tempo, con la gioia e col dolore, assegnando ad ognuna delle persone che ci accade di incontrare un preciso significato, rinvenendo una storia in mezzo ai frammenti di una vita apparentemente senza storia. Si tratta sempre di disegnare volti e di ricercare e di trovare storie. Bisogna scoprire nell'altro l'albero che noi stessi sappiamo di essere.

Quando dico che vivo da solo in un appartamento di Tolentino, tutti corrono subito a pensare che la mia vita sia triste, che mi manchi il calore di una famiglia, che non ho una donna. E si stupiscono altrettanto rapidamente a sentire che ho una donna da cui mi sento amato, che mi porto nel cuore le mille storie che ho potuto costruire ascoltando umilmente la vita che palpitava davanti a me tutte le volte che un giovane amico o una musicista o una cantante improvvisata mi hanno rivolto la parola, o mi hanno sorriso o hanno avuto il coraggio di dire che apprezzavano le mie attenzioni. Si stupiscono a sentire che mi porto con me il ricordo per niente sbiadito delle carezze di mia madre, della sua voce roca, dei richiami da lontano quando il mio cuore discordava con il suo e soffriva nel vedermi allontanare... E che dire delle profonde solitudini di mio padre, che non temeva mai di restare per ore e ore a sentire le voci della campagna, in cerca di refrigerio, quando la pioggia aveva incominciato già a battere la terra arida? Lui che temeva il fulmine, che emozione vederlo scrutare il cielo, in cerca di risposte ai suoi affanni, nelle lunghe serate di fine estate...!

Mi è stato pure chiesto quali siano le mie radici, se io ne abbia, se mi senta un vero musicista oppure no. La gente fa sempre tante domande tutte insieme, perché vuole sapere tutto. Non si accontenta di una risposta che, magari, vale più di mille discorsi, perché conduce immediatamente al cuore della verità.

Io credo nella fedeltà alla terra, nei lunghi addii con cui ci congediamo da essa giorno dopo giorno. Io lo so, anche se sono giovane ancora, che si muore lentamente. Ogni giorno che se ne va è una parte di noi che muore, perché siamo impastati di ore e di giorni e di mesi. Ci sembra troppo facile contare gli anni. Preferiamo pensare alle lunghe file dei giorni, che scorrono inesorabili dentro e fuori di noi. Abitiamo il tempo, che scandisce per noi il ritmo con cui andiamo incontro alla vita per rispettarla ed onorarla.

File di continuità si richiedono per riuscire a dire: "sono qui", "qui e ora", mai dimentico del mio tempo mondano, che si porta via le cose più belle. Istituire file di continuità è saper amare, dare senso ai frammenti che cadono ai nostri piedi e che chiedono soltanto che l'infranto sia ricomposto e che non si cada mai preda dell'idea che l'Irreparabile è accaduto, che il male di cui siamo stati testimoni sia irredimibile, imperdonabile, imprescrittibile, come se coloro che sbagliano abbiano da scontare per l'eternità di non essere stati 'qui', sempre presenti a se stessi e agli altri, impegnati ad amare noi solo noi, come se non altro fosse stato concesso al mondo se non amare noi solo noi.


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