Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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mercoledì 29 settembre 2010

Le nostre voci

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Per tutto questo tempo non ho allontanato gli occhi / dal mio sogno lontano, / dalla mia casa vicino al fiume, / dalla mia infanzia vicino al fiume, / dalle finestre della mia stanza che davano sul fiume di notte...
FERNANDO PESSOA

Delle cose che scandiscono il tempo e che servono ad arredare il paesaggio interiore io considero la voce di mio padre la più importante. Mi hanno fatto credere in tutti questi anni che il padre è assente, che delega alla madre l'educazione dei figli, che è sempre stanco e che non parla quando dovrebbe parlare...

Spiegatemi voi, allora, come sia possibile il fatto che è presente in me, che io senta la sua voce risuonare in me come un'ingiunzione del cielo! Non un comando, ma un fermo parlare che scava dentro, fin in fondo. Se dovessi decidere sulla questione più grande, se io sia solo o se la mia vita sia riscaldata da valori indistruttibili, non esiterei a dire che un punto fermo, in mezzo alla deriva del tempo, c'è senz'altro. E' lui l'Indistruttibile, per me.

Uno scrittore francese scriveva anni fa su una rivista letteraria, in un breve saggio dedicato al Sacro: "Il sacro era il cappello di mio padre appeso nel guardaroba all'ingresso di casa...". Perfino i suoi oggetti assumono ai miei occhi un significato importante e un valore.

Le sue parole non sono poche né senza forza. Al contrario, io le attendo con ansia e con segreto stupore. "Cosa mi dirà?"
Delle attese che la vita ci riserva ogni giorno e che ci mette davanti come prove, c'è questa attesa. Della sua voce. Si potrebbe dire che l'amore che 'passa' tra un figlio maschio e suo padre è tutto in questo segreto corrispondersi.

Lui sa di me. Lo sento. E' come chi non ha bisogno di dire subito tutto quello che ha da dire. Lui sa che può parlare a me in qualsiasi momento. Quando il frastuono è cessato. Quando le infinite voci della vita e il chiacchiericcio cessano, allora si avvicina a me. Nessuno si accorge di questi semplici gesti del cuore. Assente lui?

La forza che mi dà uno solo dei suoi gesti è sufficiente a farmi camminare per settimane e mesi poi. Forse è lui che placa l'antico fermento che è in me. Lui rasserena e calma i palpiti del cuore in subbuglio. Inizialmente, è lui stesso a generare affanno, ma subito si sciolgono i grumi di dolore che il tempo sedimenta nell'anima, non appena si gira verso di me e vede me, proprio me.

Non sono indifferente a nessuno dei suoi gesti. Tutto è prezioso e raro. Quando vuole sapere di me, è timido e scontroso. Anche lui deve uscire da un guscio ben duro. Mi sono chiesto spesso da dove venisse la mia invincibile timidezza, ma lo sapevo già. Mi sono anche ribellato alla vita, quando mi è sembrato di essere come lui: non mi piaceva somigliargli proprio in ciò che mi turba di più. Ma oggi vedo più chiaramente nelle cose. Anche un elemento di 'debolezza' può essere trasformato in virtù. E' stata chiamata vita schiva questa intensa maniera di esistere.


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