Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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mercoledì 15 settembre 2010

Non bisogna stropicciare le emozioni altrui!

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Un amico di mia madre, che lavora da anni con i tossicomani - in un Centro di ascolto -, racconta storie da meditare attentamente. Sembra che accadano cose di questo tipo in quel mondo: ad esempio, un ragazzo che sia partito per la Comunità terapeutica magari torna dopo un anno, interrompendo traumaticamente - per sé e per la sua famiglia - il programma con queste motivazioni: "Tutto quello che ho fatto fino ad oggi non conta nulla, non vale a farmi andare avanti. L'ho fatto solo per fare contenti voi." Anche questi sono suoni inauditi. Non vi pare? C'è da far saltare i timpani ai genitori, resi sensibili dal lavoro che fanno nel Centro di ascolto. Essi si preparano ad ogni evenienza, ma soprattutto al rientro di un figlio ormai cambiato, accresciuto dall'esperienza di rinnovamento che dovrebbe generare nell'anima lo spazio indispensabile che faccia da contenitore per frustrazioni e delusioni...

Ma non sempre è così. Nel nostro caso, c'è qualcuno che si ripresenta all'improvviso e che dice cose inaudite. Fare una cosa buona per gli altri, per i propri cari è sbagliato? Evidentemente, sì. Dobbiamo immaginare che una scelta sia cosa a cui si arriva per un'intima convinzione. A me piace dire che l'anima non deve essere 'sporcata', intasata dalle ragioni degli altri, che sono tutte sacrosante, ma che non coincidono affatto con quelle di chi si trova di fronte alla scelta.

Temo che quel ragazzo per tutto il tempo trascorso in Comunità non abbia fatto altro che obbedire a una voce interiore che non era il suo dèmone ma quello di altri. Non affrontava i suoi veri problemi ma pensava soltanto di dover accontentare qualcuno.

Ho ascoltato attentamente in questi anni e mi sono fatto una mia 'cultura' di queste cose. Sento parlare spesso di emozioni e di sentimenti. Noi crediamo di sapere tutto in questo campo, perché ci accade di provare tutto o di fare indirettamente esperienza di tutte le vicissitudini della coscienza, osservando l'esperienza degli altri. Ci sono cose alle quali, però, non diamo l'importanza necessaria.

Consideriamo, ad esempio, il corteggiamento di una donna. Mio padre mi racconta che quarant'anni fa la distanza tra maschi e femmine era grande. I maschi erano aggressivi con le ragazze. La corte era insistente. Erano convinti del fatto che qualsiasi donna avrebbe potuto cedere, di fronte a un corteggiamento ben fatto.
Oggi non è più così. E' cambiato tutto. C'è chi dice addirittura che i maschi non corteggiano più le donne: è come se non sapessero più come si fa. Codici d'accesso dimenticati.

Quando sento queste cose mi domando: io sarei timido? l'imbranato sono io? Ma non vi sembra che ci sia da discutere un po' su quello che sta accadendo? Il mondo non è più quello di una volta. Le donne non sono più quelle di una volta. E nemmeno i maschi. Bisogna andarci piano con le etichette. Sono io che esito? Solo io? L'accesso all'anima di una donna è cosa così facile? Se ne può parlare in un bar, tra un racconto e l'altro delle ultime conquiste personali, come al tempo di mio padre?


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