Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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sabato 11 settembre 2010

Pensieri spettinati

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Non si entra con scarpe infangate nell'anima del prossimo. E non serve pulirsele prima.
STANISLAW J.LEC

Voi credete che si possa dire a un musicista "Suona!" in qualsiasi momento? Quando fa più comodo a noi? Certo, se gli date uno spartito e un po' d'acqua per la gola secca, non vi dirà di no, se parliamo di un turnista come me. Ma per un musicista jazz è un po' diverso. E' per questo che ho scritto di me dal primo giorno che c'è qualcosa che mi trattiene. E se ho accennato ad una vita schiva, non l'ho fatto per darmi importanza o perché mi piaccia vivere appartato. Ho tutte le persone giuste intorno a me. Con esse vivo intensamente, senza evitarle mai né fuggire dalle responsabilità.

Ma ci sono momenti tutti miei in cui ho bisogno di fare silenzio intorno a me. (Perfino in mezzo al traffico, poi, non sopporto che mi si dica cosa debbo fare.) Sto già percorrendo una strada. Sono in cammino. Non vi saprei dire cosa, ma c'è un'orchestra che suona. I suoni inauditi stanno lì, in forma di frammenti, ad aspettare. Ritornano ossessivamente, ripetuti e 'tentati' alla tastiera di un piano che non vedo. Non sono in condizione di poter suonare ancora. Eppure, è già musica. E' tormento, certo. Perché non si dispiega compiutamente ancora il 'pezzo', che non è poi ancora brano di alcunché.

Tendiamo all'opera, alle variazioni personali, magari a una semplice interpretazione. Nei momenti di grazia, non è solo un ripassare opere note dei Maestri, in cerca di uno spazio lasciato vuoto, di un'intuizione felice da sviluppare ulteriormente. E' stato di grazia sentire sgorgare dal petto - sì, proviene da lì! - un 'dolce' o un 'aspro' che diciamo improvviso. Ogni volta di nuovo, un improvviso accordarsi felice dei suoni, su cui abbiamo bisogno di passare e ripassare, per fissare quello che, altrimenti, volerebbe via, in uno scarto brusco delle emozioni che si porta via passeggiate lunghe kilometri e kilometri.

C'è un Aperto davanti a me, lo spazio neutro delle possibilità. E poi uno scarto, un'intuizione, un turbamento. Un ricordo. Ancora stupore. E le mani che si muovono da sole, che vanno a dire cosa preme, cosa chiede di esser detto.

C'è da dire la nuvola e il sorriso della propria ragazza e il broncio e il sussurro all'orecchio. Ma, più di tutto, la tempesta e il fragore, l'affanno, le salite impervie in cerca di svolte oltre i valichi. C'è vento. Talvolta, pioggia. Il sereno distendersi del cuore, che si apre a nuove evidenze. I sussulti del cuore. Il silenzio assorto dell'anima. Le lacrime di gioia. La voce di tua madre. La Chiesa deserta. Le chiacchiere degli amici. Con questa orchestra nel cuore, volete che uno come me non sia un po' scontroso, se in una sera più fresca di fine estate si ritrova a dire "no", perché c'è da seguire la propria orchestra o perché non si è 'pronti' ancora?

Perfino gli Angeli esitano!

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