Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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lunedì 27 settembre 2010

Errante radice

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Angustia della mente, apatia dei sensi, aridità del cuore sono sofferenze psichiche, disagi esistenziali che dipendono dai nostri conflitti interni? E se invece fosse proprio la nostra visione del mondo troppo angusta, troppo sclerotizzata ad impedirci di trovare un senso per la nostra vita e buone ragioni per vivere bene con noi stessi?

Quando penso a mia madre e a mio padre, agli ottanta kilometri che ci separano, non penso che quello spazio ci divida: è solo una distanza geografica che riesco a colmare bene con la mente. Li sento vicini. Io sono lì, accanto a loro. Sento le loro voci risuonare nella vecchia casa paterna. Il pensiero corre spesso ai ricordi della prima infanzia, ai ricordi più antichi e a tutte le cose belle che aiutano a riscaldare le giornate. Da Tolentino ad Ancona corre la stessa distanza che separa Ancona da Tolentino. Io so che anche per loro non è difficile raggiungermi, toccare il mio cuore.

Ma cosa credete che mettere in musica emozioni e affanni sia impresa astratta? una questione di note e di tastiere e basta? Ci portiamo dietro ogni sera i fanciulli che siamo stati, le ansie e le paure, tutto il fermento, l'antico fermento che ci fece affacciare alla vita timidamente prima e che poi ci fece sempre più convinti che c'era posto anche per noi.

Posso anche occupare da solo un'intera casa a Tolentino, con una stanza vuota ancora, senza per questo sentirmi senza radici e sbattuto nel mondo spaesato e smarrito. Ho le mie radici in una casa rivestita di mattoncini colorati a festa, dove è facile sentire il profumo del tiglio in fiore di mia madre. Ad ogni gradino delle scale che portano alla sua casa, una pianta, a scandire la vita, gradino per gradino, come un lungo grazie, una muta preghiera. E le stanze arredate tutte di vita: altre piante, tutte vive, da lunghi anni al loro posto, curate con la stessa cura che viene riservata a tutti noi che ci siamo allontanati da lei senza strappi o astratti risentimenti.

Il filo sottile che ci lega è stato intrecciato da lei con la dolcezza del suo cuore, con i suoi lunghi silenzi che segnavano severamente la sua presenza quando il nostro cuore discordava dal suo. A lei tornavamo sempre in umiltà, per ricongiungerci alla fonte di tutti i nostri sentimenti buoni. Lei ci insegnava ad amare suggerendo la mitezza del cuore. Ci diceva soltanto: siamo noi! siamo noi che diamo valore alle cose! Il nostro amore è il nostro amore. E' l'amore che noi diamo agli altri. Non ci diceva mai che l'amore deve essere ricambiato. Che bisogna chiedere, addirittura pretendere qualcosa in cambio. Era convinta che l'amore viene ripagato sempre.

A sentire il suo sempre, il cuore mi fa male ancora, perché la mia vita forse non è andata esattamente come la sua. Non che io non abbia avuto fin qui cose belle dalla vita! Ma è il mio cuore che si fa aspro a volte, che recalcitra contro il Destino e che non sa rassegnarsi a chiedere, magari senza chiedere, l'amore che ha sempre ricevuto senza chiedere. Forse, è proprio questo l'errore nascosto nel suo amore: credo che mi abbia amato troppo. Non mi ha fatto mai mancare le sue cure. Io oggi sono qui, compreso di me, certo, consapevole e saldo nelle mie convinzioni, ma errante radice, un cuore diviso tra una casa di mattoncini colorati a festa e l'appartamento senza gloria di questa città dell'interno in cui non rifluisce mai il profumo di un tiglio in fiore.


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