Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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giovedì 2 settembre 2010

Muta preghiera

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Oggi è accaduto qualcosa di memorabile, almeno per me. Ho rivisto una persona a cui avevo lungamente pensato. Ci siamo incontrati per una ragione che solo per un caso fortuito ci fa incontrare. Sono sempre stato fedele a Martina. Dunque, non mi sentivo turbato da quella presenza femminile. Si è trattato di una conversazione di un'ora che mi è sembrata interminabile, piacevolmente interminabile. Debbo confessare che non mi dispiaceva averla accanto, con la sedia a pochi centimetri dalla sua. Mi ha stupito fin dall'inizio che fosse disposta a stare così vicino a me. Non che fosse indizio chissà di cosa!, ma la ricordavo severa, composta anche troppo, per i miei gusti! Oggi era serena, rilassata. Abbiamo parlato in modo fitto, e lei era interessata a tutto quello che le dicevo. Approvava ogni mia affermazione. Io ho cercato di corrispondere a quanto ricordavo di lei, perché misteriosamente cercavo di lasciare una traccia. Volevo che restasse incuriosita e insoddisfatta, per indurla surrettiziamente a cercare ancora un contatto. Era come se in me ci fosse un interesse sopito, qualcosa che sonnecchiava sotto la cenere. Cenere? Non penserete a fuoco, e dunque a un interesse sentimentale per lei. Diciamo che il suo prestigio professionale e la sua bellezza austera mi avevano sempre incuriosito. Oggi, per la prima volta eravamo soli. Finalmente, potevo parlarle delle cose che mi stavano più a cuore. Forse, ci siamo detti quello che avrei voluto sempre dirle. Le ho lasciato ampia facoltà di scelta sulle cose che avremmo dovuto fare insieme e tempo per riflettere. Come nascondere l'emozione viva che ho provato? E' stato come ritrovare un vecchio amore, ma non era amore. Piuttosto, una tenera consuetudine. Sicuramente, uno scioglimento. Quando si attende per tanto tempo, come restare indifferenti alla vista di una persona che si avvicina per parlare solo con noi! e che lo fa, poi! Parla con noi. Suoni inauditi anche quelli. Ci sarebbe da rispondere con musica. Magari con una canzone. Rigorosamente, senza parole. Come è stato questo pomeriggio pieno di parole, che non hanno riempito nessun vuoto. Sarà stato questo quello che di peggio potesse accadere? Che tutte le parole pronunciate siano servite per coprire il necessario silenzio che sarebbe calato fra di noi, perché le uniche vere parole erano quelle che non avremmo potuto pronunciare mai?


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