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Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva
.Ineffabile come Dio
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La vita come scrittura interminabile
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La cosa più grande del mondo è saper stare con se stessi. (Michel De Montaigne)
Le cose vanno viste da vicino
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C'è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo.Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all'intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all'intensità dell'oblio. MILAN KUNDERA, La lentezza, pag.49
Alcuni anni fa ho assistito a una Mostra di pittura di un giovane amico, a Tolentino, che esponeva quadri fatti tutti con inchiostro di china. Il titolo prescelto era Le cose vanno viste da vicino. Inizialmente, mi sembrò tutto molto ingenuo, dalla china al titolo della mostra... Successivamente, ho ripensato alle sole parole da lui spese per dire quello che intendeva rappresentare, quelle, appunto, usate per il titolo. Mi risultarono stranamente familiari. Ma subito capii.
Anch'io penso che non si debba considerare troppo da lontano e in fretta quello che ci accade. Le cose vicine, poi, ci riguardano, potrebbero appartenerci, parlano a noi. Quando si dice 'memoria' bisognerebbe aggiungere 'identità'. Identità e memoria. 'Fermare' le cose vuol dire adeguare il proprio ritmo a quello con cui le cose scorrono, passano. Cerchiamo di fermare la vita, per fissare i suoi significati, per assegnare ad ogni cosa un significato per noi.
Se penso ai miei allievi, alle lezioni di Musica, ma anche al lavoro di turnista, al ritmo di una piccola città come Tolentino, confesso che tutto mi sembra adeguato alla mia misura. Qui non mi sento solo a casa. Non riesco solo a realizzarmi negli affetti, nel lavoro, nell'attività che più mi preme. Qui riesco ad esprimermi. Do voce ai sogni e alle illusioni, cercando di realizzare i primi e di tenere a bada le seconde.
Con le illusioni bisogna fare i conti. Io ci riesco se procedo affrontando le mie cose ad una ad una. Non mettetemi fretta. Martina ci ha provato, ma le ho fatto capire che sono fatto così: debbo vederci chiaro nelle cose. Non prendo decisioni affrettate. La vita richiede prudenza e pazienza. Ho sbagliato già, anche troppo per i miei gusti. Ora voglio ponderare tutto.
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Le sue voci
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Parlami!
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William Goode
A tutto il paese senza dubbio poteva sembrare
che io andassi di qua e di là senza una direzione.
Ma qui lungo il fiume al crepuscolo
puoi vedere i pipistrelli che volano a zig-zag
qua e là - devono volare in quel modo
per procurarsi il cibo.
E se ti è mai capitato di perdere la strada di notte
nel bosco profondo vicino a Miller’s Ford,
e hai seguito incerto ora una strada ora un’altra
ovunque si vedeva brillare la luce della Via Lattea,
tentando di trovare il sentiero,
dovresti allora capire che io cercavo la via
con ardente zelo, e che tutto il mio peregrinare
non era un peregrinare senza meta.EDGAR LEE MASTERS
«Non posso sopportare la pioggia!»
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Ci sarà davvero un "mattino"?
C'è una cosa come il "Giorno"?
Potrei vederlo dai monti
Se fossi alta come loro?
Ha piedi simili a Ninfee?
Ha penne come un Uccello?
Proviene da famose regioni
Di cui non ho mai udito?
Oh qualche Studioso! Oh qualche Marinaio!
Oh qualche Sapiente dai cieli!
Vi prego di dire alla piccola Pellegrina
Dove si trova il luogo chiamato "mattino"!EMILY DICKINSON[Cerchiamo sempre un "mattino", un risveglio che porti luce e rinascita, ma quasi sempre la nostra ricerca non ha effetto e ci chiediamo allora se quel mattino esiste davvero e, magari, se siamo noi a non saperlo vedere, perché non riusciamo a spingere lo sguardo al di là di ciò che lo nasconde.
]
Un profondo sentire.
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Muovere verso l’altro significa anche fare i conti con persone che non ci corrisponderanno o che appariranno sulla scena con caratteristiche perturbanti: il modo di mostrarsi con la propria sensibilità è già rivelatore. Siamo portati ingenuamente a pensare che si debba essere profondi o che si sia profondi per natura e che si possa decidere se farsi coinvolgere emotivamente o no in una relazione umana. E ci convinciamo crescendo che da alcune figure di rilievo - i nostri genitori, ad esempio - non possa venire altro che riconoscimento ed affetto: difficilmente, arriveremo a comprendere, ad esempio, che una madre possa non provare alcun sentimento per noi.
Certamente, potremo mantenere una ‘distanza’ grande, riservando all’altro un interesse solo formale oppure ostentare disinteresse. Ne faremo sempre una questione di sensibilità personale, di personale capacità di sentire l’altro e di mostrare di possedere una sensibilità viva… In realtà, quello che mettiamo in campo è il nostro modo di orientarci verso un valore: noi attribuiamo all’altro un valore da cui dipenderà il ‘grado’ dell’affettività che esprimeremo nei suoi confronti. Gli affetti che proveremo traspariranno, in qualche misura.
Riusciremo anche a dissimularli, se necessario, più o meno abilmente. Chi non ha nascosto, infatti, anche per anni un sentimento che non poteva in nessun modo essere dichiarato? Può darsi anche il fatto che procediamo a lungo inconsapevolmente, come se nulla stesse accadendo in noi. Un accidente improvviso o un brusco risveglio provocato ad arte da qualcuno ci rivelerà a noi stessi. Avvertiremo chiaramente di essere stati colpiti da una presenza, di essere ormai affetti da interesse... Ci sentiremo affezionati a quella persona. Essa si distinguerà tra le altre cose del mondo. Avrà un significato per noi e un valore.
Non accade poi sempre così, quando si tratti di persone appartenenti alla schiera familiare allargata?
A insensibilità, anaffettività, superficialità del sentire non dovremo opporre profondità del sentire? e questa profondità dovremo intendere come espressione di una grande sensibilità personale o come capacità di attivare gli strati profondi della sensibilità propria di ogni persona? E che cos'è essere profondi se non avanzare nella conoscenza dell'altro, arricchendo la relazione di sempre nuovi significati e nuove occasioni di contatto e di scambio emotivo? La metafora spaziale non serve. Profondità è questo: non rinvia a qualcosa che stia più a fondo. Non è stato Pavese a dire ne Il mestiere di vivere: «Amore è desiderio di conoscenza»?
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Verso un sapere dell'anima
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Canto di donna che si sa non vista
dietro le chiuse imposte, voce roca,
di languenti abbandoni e d'improvvisi
brividi scorsa, di vuote parole
fatta, ch'io non discerno.
O voce assorta, procellosa e dolce,
folta di sogni,
quale rapiva i marinai in mezzo
al mare, un tempo, canto di sirena.
Voce del desiderio, che non sa
se vuole o teme, ed altra non ridice
cosa che sé, che il suo buio, tremante
amore. Come te l'accesa carne
parla talora, e ascolta
sé stupefatta esistere.Sergio Solmi (da: Ritorno a una città], 1926
«Acc! Perdo sempre le tue chiamate! ;-) sarà il mio inconscio che non vuole farti sentire la mia voce? Mah! Le donne! Hanno sempre questa paura del giudizio di un uomo! :-/ forse, non tutte... Mica son tutte tonte come me! Giuliana».
Il divenire di un'Occasione
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Prima persona singolare
Ciò che pregavi con amore,che come cosa sacra custodivi,il destino alle vane ciance umaneha abbandonato per ludibrio.La folla entrò, la folla irruppeentro il sacrario dell'anima tua,e di misteri e sacrifici ad essaaperti tu arrossisti tuo malgrado.Ah, fosse mai che le ali vivedell'anima librata sulla follapotessero salvarla dall'assaltodell'immortale volgarità umana!FËDOR TJUTCEV
Un centro di gravità permanente
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I legami fra un essere e noi non esistono che nel nostro pensiero. L'affievolirsi della memoria li allenta. [...] E' da soli che esistiamo. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé; e, se dice il contrario, mente. - MARCEL PROUST
Gli altri sono troppi, per me.Ho un cuore eremita.Sonoimpastata di silenzio e di vento.Sono antica.Mi pento ogni volta che vadolontano dal mio stare lentonella velocità della sera...MARIANGELA GUALTIERI*
«Sono sempre i nostri muri quelli contro cui urtiamo e su cui proiettiamo la nostra immagine del mondo, sia che cerchiamo di amplificare il nostro spazio, sia che vi accatastiamo i nostri beni.»
«Solo chi rimane completamente se stesso si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita, essere avvertito come una potenza di essa. Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda…».
«Un eterno rimanere estranei nell’eterna vicinanza è dunque il segno più pertinente e inalienabile di ogni amore in quanto tale: …non solo nel disprezzo o nell’amore non ricambiato, infatti, ma dappertutto, ovunque dove ci si ama, l’uno sfiora solo l’altro lasciandolo poi a se stesso. E’ sempre una stella irraggiungibile che noi amiamo, e ogni amore è sempre nella sua profonda essenza una segreta tragedia, ma proprio per il fatto di esserlo riesce ad avere effetti così potentemente produttivi».
LOU ANDREAS SALOME’, Riflessioni sull’amore (1900)
Qualche millennio di Filosofia e nessuna educazione sentimentale diretta ed esplicita ci hanno convinti del fatto che bisogna 'sterilizzare' le proprie emozioni, mettere sotto controllo passioni e impulsi irrefrenabili... Come se fosse possibile! Ma quando mai si raggiunge un equilibrio 'soddisfacente'!? Solo con la morte. Là dove c'è vita c'è turbolenza e affanno. Siamo sempre chiamati altrove. E' importante sapere che, per quanto ci illuderemo di 'allontanarci' dalle nostre ragioni, in realtà non moveremo un passo dal nostro cuore e dalle sue ragioni, che sono le uniche che contino. Tutto sta a saperle riconoscere e a orientare la propria vita verso le mete desiderate, senza farsi portare sempre da tutte le correnti. L'amore non è un approdo? Non realizza il 'pari intervallo' dall'unico centro a cui aspiriamo? Se si riuscisse ad assegnare la stessa 'misura' anche a distanze diverse da quel centro, forse sì. E' divino riuscirci.
Una garbata e delicata anomalia
Io non ho incontrato tipi umani, ma persone. Se lo studioso generalizza, l'artista invece cerca l'individuo e la sua irripetibilità. - JULES RENARD
Prendete una città come Tolentino, una ragazza folle di miele, un lavoro di turnista e tanti sogni nella testa e ditemi voi se al mattino potete svegliarvi a Tolentino, paghi della vostra casa, ansiosi di andare a lavorare. La testa è sempre da qualche altra parte. In una sala di registrazione. In un ambiente dall'acustica perfetta, in cui si diffondono le note di un piano. In una sala buia, in cui scorrono immagini in movimento su una parete grande, e non sale fumo dalle sedie. E' passato il tempo in cui si poteva fumare in sala!
Oggi puoi concentrarti sui tuoi pensieri, mentre ti rivedi tutto Rohmer o ti attardi la sera a seguire fino in fondo un'Opera lirica nella metropoli più vicina. Non ti infastidisce nessuno, se in una tersa sala di biblioteca parli a bassa voce con un vecchio conoscente o un'amica che non rinuncia a corteggiarti vuole sottolineare per te il libro che stai leggendo a fatica!
Tu puoi fare queste e mille altre cose indisturbato, perché di tutti i sessi che sono stati contati non ne escludi mai nessuno. Se ti piace parlare con le persone, non ti domandi in quale letto andranno a dormire la sera. E se qualcuno ti sorride, non ti spaventa un orecchino in più o un gesto troppo effeminato. Che una ragazza sia misteriosamente silenziosa ti incanta quanto una pausa breve in un concerto per pochi aficionados o una canzonetta di Cole Porter.
Dopo tutto, Jarrett ha interpretato anche Bach, e cosa mi vorrete dire delle vie che si incrociano nel cuore di un ragazzo che sta per partire da una Tolentino qualsiasi per una Patria lontana in cui piove spesso e che non sa rinunciare alla sua sciarpa sporca e alle scarpe vecchie con cui ama calpestare l'asfalto di città? Non serve entrare nella vita dopo essersi pulite le scarpe, se bisogna entrarci con le proprie scarpe. Io mi porterò le mie. E la sciarpa sporca. E le sciarade di una ragazza folle di miele che non mi lascia andare, anche se ormai le nostre mani si sciolgono in un lungo arrivederci. E' tempo di partire.
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Vivere bene la solitudine è un privilegio
Anticipare la solitudine, affinché non ci trovi impreparati. - Duccio Demetrio
«Stati d'animo, stati di grazia, elegie!»
Esattamente venti anni fa, una Rivista di letteratura* parlava di 'fine dei viaggi', a fronte di un mondo raggiunto tutto, ormai, dagli esploratori.
Le «scritture infedeli» - i testi letterari, ma soprattutto quelli che riferiscono di viaggi - fanno pensare ai resoconti di Marco al Gran Kan ne Le città invisibili di Calvino. Al termine del lungo 'viaggio' dell'Imperatore, questi chiede a Marco se le città di cui egli ha parlato esistono veramente, perché ha l'impressione che l'amico non si sia mai allontanato dalla Corte. Eppure, egli aveva bisogno che qualcuno gli portasse notizie dal suo sterminato Impero! Ormai vecchio, egli non sarebbe mai riuscito a percorrerlo per intero. A metà del racconto gli aveva intimato: «Questo volevo sapere da te: confessa cosa contrabbandi: stati d'animo, stati di grazia, elegie!» E poco prima: «Le tue città non esistono. Forse non sono mai esistite. Perché ti trastulli con favole consolanti? So bene che il mio impero marcisce come un cadavere nella palude, il cui contagio appesta tanto i corvi quanto i bambù che crescono concimati dal suo liquame. Perché non mi parli di questo? Perché menti all'imperatore dei tartari, straniero?» - E Marco, che sapeva secondare l'umore nero del sovrano: «Sì, l'impero è malato e, quel che è peggio, cerca di assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo: scrutando le tracce di felicità che ancora si intravvedono, ne misuro la penuria. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane».
Al termine della narrazione, Kublai chiede a Marco: «Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quali di questi futuri ci spingono i venti propizi».
«Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell'approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s'apre nel bel mezzo di un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che si incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, di istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si debba smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t'ho detto».
Allo stesso modo procederemo noi, raccogliendo gli sparsi frammenti della nostra esistenza, per restituire un resoconto fedele - oh, non saprei dire quanto fedele! - del territorio che abbiamo attraversato. Io non ero solo. La strada che mi ha condotto fin qui pure va detta, ma più arduo sarà procedere verso Nord, verso Ovest, senza assecondare la tentazione - pure presente in me, ma sempre più debole - rappresentata dal mio Sud. Non c'è solo Lei, il mio Oriente, a guidare i passi incerti verso il compimento del mio Destino. Realizzare la mia natura, finalmente trovare il mio ubi consistam, coinciderà con le sue ragioni? Cosa sappiamo di noi e di ciò che saremo? Non troviamo, forse, le nostre vere ragioni lontano da una Verità che sia scolpita nella pietra e, ancor più decisamente, lontano dall'immagine ferma di una improbabile città da cui siamo partiti? Non troviamo quelle ragioni intrecciando i nostri destini con quelli di altri viandanti, partiti come noi in cerca di tracce di felicità sparse nel vento? E se non ci metteremo in ascolto di tutte le voci del vento, lasciando che la pioggia improvvisa intervenga a scuotere le nostre certezze; se non permetteremo alla pioggia di irrompere nella nostra vita, portandovi l'eco lontana di altre voci, come riusciremo a dare voce al nostro cuore irrequieto? e come daremo un nome alle nostre inquietudini, se non usciremo ad incontrare vento e pioggia, per ritrovarci infine sotto lo stesso cielo?
* L'Asino d'oro, dell'Editore Loescher - Anno I, numero 1, Maggio 1990: «Fine dei viaggi»: spazio e tempo nella narrazione moderna
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Le altre ragioni
Si potrebbe obiettare che un Ovest per Itaca e un Sud per la Casa, dopo tutto, sono la stessa cosa. In realtà, la mia Itaca è l'Irlanda. Una seconda Patria? Chi comanda al cuore? Sia lì che qui vedo antiche divisioni, una composizione dei contrasti mai del tutto compiuta.
Le mie Patrie hanno lacerato il mio cuore. Posso dire che mi hanno educato all'idea che l'esistenza ha un fondo tragico, che non possiamo veramente scegliere: due opposte Volontà si agitano in noi, perché è così fuori di noi. Geograficamente, abbiamo un Nord e un Sud, due poli che non si incontrano mai.
Ho voluto che il mio Nord non fosse l'antica madre di cui parla Virgilio. A Nord, è il mio Destino. Sento che a Derry qualcosa succederà. Lo spazio che mi separa da quella città non è lo stesso che si può misurare tra Derry e Tolentino. Andare non è come tornare. Io vado a cercare una parte di me, che la parte silente prenda a parlare, magari a suonare. Avrei alcune cose da dire. E debbo dirle a quella città. Ho scritto anche per il Cinema.
Se tornerò, come credo che accadrà, cosa mi lascerò alle spalle? Tornerò da solo? E tornerò qui? Ma cosa significa, ormai, qui? E' proprio a questa eterna attesa che debbo strapparmi, altrimenti finirò per convincermi che la 'vita buona' è tutta qui, che un non-vivere è tutto ciò che c'è da vivere. Io cerco il mio compimento.
I saldi affetti di casa non mancano, certo. Ma di essi non mi piace parlare. I pochi amici preziosi sono qui. Addirittura, un Musicista. Anche un Filosofo che dice di non esserlo, ma che ha accumulato saggezza da vendere. E un paesaggio fatto di tanti volti e nomi, soprattutto nomi. I volti sbiadiscono con il tempo. I legami si allentano. Quelli più saldi non sono poi quelli che faranno il mio Destino. Li porto con me. Ma debbo partire.
Mi servono occasioni e mezzi per poter dire, non vi dirò cosa: avrete capito perché. La vita non è solo ciò che giace al fondo, un patrimonio inerte da spendere, una volta occupato un 'posto' in cui consistere. Il porto sepolto, poi, ha bisogno di marinai arditi che sappiano riportarlo alla superficie con i loro racconti, perché tutti sappiano che c'è un luogo da cui proveniamo.
Quello che si agita in noi chiede di essere raccontato.
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Lungo i sei lati del mondo, in cerca di un Oriente.
Se assumiamo che il Nord sia la Musica e il Sud la Casa, ad Ovest cercheremo Itaca, ad Est Lei. Dei sei lati del mondo mancano l'alto e il basso: i cieli d'Irlanda e la terra che calpestiamo.
L'Oriente è lei, sempre lei. Ma non la cercheremo in una sola direzione. Ci accadrà di incontrarla dappertutto. E questo vuol dire che la porteremo nel cuore dovunque andremo, chiunque sia e quando vorrà apparire al mondo.
Del mio Nord dovrei dire, forse, che è il Cinema, ma la stella che mi guida, di volta in volta, è l'Estetica, la Musica, il Cinema...
Lei è la Sorgente. Rilke ha scritto in un verso memorabile: io sono la rugiada ma tu, tu sei la pianta. Insomma, c'è qualcosa di 'nativo' in lei. Cos'altro cerchiamo inesausti per tutta la vita se non un Inizio a cui ricondurre le (nostre) cose?
Ricordate le infinite suggestioni di Prima persona di Andrea Zanzotto?
- Io - in tremiti continui, - io - disperso / e presente: mai giunge / l'ora tua, / mai suona il cielo del tuo vero nascere. / Ma tu scaturisci per lenti / boschi, per lucidi abissi, / per soli aperti come vive ventose, / tu sempre umiliato lambisci / indomito incrini / l'essere macilento / o erompente in ustioni. / Sul vetro / eternamente oscuro / sfugge pasqua dagli scossi capelli / primavera dimora e svanisce. / Tu ansito costretto e interrotto / ora, ora e sempre, / insaziabile e smorto raggiungermi. / Ora e sempre? Ma se di un bene / l'ombra, se di un'idea / solo mi tocchi, o vortice a cui corrono / i conati malcerti, il fioco / sospingermi del cuore. E là nel vetro / pasqua e maggio e il rissoso lume affondano / e l'infinito verde delle piogge. / Col motore sobbalza / la strada e il fango, cresce / l'orgasmo, io cresco io cado. / Di te vivrò fin che distratto ecceda / il tuo nume sul mio / già estinto significato, / fin che in altri terrori tu rigermini / in altre vanificazioni.
Ma questo inizio ha da essere vasto e parlare alle soglie del giorno, perché più chiaro sia il timbro della voce quando scoccherà l'ora del suo nascere. Bisogna indugiare a lungo tra il canto dell'usignolo e quello dell'allodola, non tanto per ritardare l'avvento della luce, quanto per esser pronti al suo incedere e saper riconoscere chi e cosa quando sarà. Solo così potrò dirle: ti aspettavo. E, più o meno: ci conoscevamo già. Oppure, ancora: eravamo forse già in cammino e ci separava un pari intervallo. E infine: io avevo iniziato già a parlarti.
Per lo spartito da scrivere qui e per le scene da approntare, perché siano adatti a lei il luogo e l'ora, non dovremmo forse stendere una mappa anche solo provvisoria del territorio che attraverseremo? Io lo so che le cose poi andranno diversamente, ma lasciatemi dire di me, perché un po' più chiare vi siano poi le parole che non pronuncerò, non tanto perché le avrò già dette qui, ma perché la sua luce non so bene cosa evocherà in me e se mancherò l'appuntamento con il mio destino.
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Improvvisamente, poco fa
Lo spazio della musica è la speranza privata, oserei dire nascosta. Il suo tempo e i suoi tempi sono tutto. All'origine di tutto non c'è stata forse un'esplosione? un boato un grido dell'Universo che si è fatto Multiverso... Non era il fragore di un'Orchestra: dal Caos e dal Silenzio all'ordine dei Suoni inauditi, improvviso passo di danza delle cose? Ogni attacco non è già incipit, l'avvio di un racconto?
E la speranza segreta di cui parlavo non è la promessa lungamente coltivata di un dialogo possibile?
Dire "Io ho la Musica" o "la mia Musica" vi sembra, allora, più chiaro? Se l'incontro con una donna, se la sua apparizione - autentica Epifania mondana - rischia di sconvolgere l'assetto abitudinario della nostra vita, come chiameremo una figura che invece si intonerà con essa, che si farà accordo, comportandosi come lo strumento che 'entra' al momento opportuno, né un momento prima né un momento dopo? e che ha qualcosa da dire, a cui a nostra volta qualcosa ancora vorremo dire?
Non è il corrispondersi jam dello strumento dell'anima quello che cerchiamo, come se la vita fosse ogni volta di nuovo una sessione in cui non importa se si tratta di quartetto o di un 'semplice' trio? noi vorremmo, addirittura, che fosse per noi un duetto eterno, cadenzato soltanto dall'ansito breve delle voci e degli sguardi! Le mani saprebbero bene dove posarsi e quando. E le membra tutte del corpo seguirebbero.
Un vecchio poeta ha scritto a sua madre, ormai lontana:
ci siamo sbagliati a disperare di noi, / siamo perfetti / nel duetto per voce sola, / mia itaca perenne di tutte le mie vite / deviate dall'equivoco
Ancora musica, insomma. Oltre la stessa vita! E cos'altro, se non Musica!?
E Lei cosa vorremmo che fosse per noi, se non un Breaking Rain perenne?
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Un presentimento
La possibilità di porre certe domande profonde si forma forse in noi dal presentimento che esse potrebbero trovare risposta attraverso incontri, anzi è anticipazione di incontri. - HUGO VON HOFMANNSTHAL, Il libro degli amici, 1922
L’attesa di un incontro è sempre preceduta da anticipazioni di quel che sarà. Percorriamo con la memoria infinite volte i brevi dialoghi che intrecceremo con l’altro, sforzandoci di rendere visibile a noi stessi lo sguardo benevolo. E la voce? Saremo tesi ad ascoltare improbabili risposte che puntualmente non verranno. Eppure, ben sapendo che è così, noi non rinunciamo a fantasticare. Non accettiamo mai, se non nel tempo della maturità estrema, di andare incontro alla vita come siamo, disarmati ma convinti che troveremo le parole. Di nessuna delle cose anticipate nell’immaginazione ci ricorderemo di fronte all’altro. Improvviseremo, forti di quello che sappiamo già. Ed è sempre così.
Io ricordo. Nei trentacinque anni trascorsi sulla cattedra non ho fatto altro che studiare. Ho preparato (quasi) tutte le mie lezioni, a volte anche con settimane di anticipo, curvo sui libri per giornate intere. Fare una lezione era questo: prevedere ogni passaggio; perfino le parole dovevano essere quelle giuste. Quelle che avevo pensato. Non altre. Ero sempre turbato, però, dal fatto che le lezioni non coincidevano mai con quello che avevo pensato nei miei sforzi 'anticipatori'. Solo negli ultimi anni di insegnamento mi sono reso conto del fatto che le migliori lezioni erano quelle che improvvisavo, decidendo addirittura, una volta arrivato alla cattedra, quello che avrei detto. Ho compreso, altresì, che non avevo fatto altro. Oggi mi domando se la vita non sia poi questo. Noi ci affanniamo, immaginando quello che sarà, ma - come gli Angeli che esitano - immemori di noi di fronte alla luce della Realtà non facciamo altro che improvvisare, divinando dal fondo enigmatico e buio da cui proveniamo. [la testimonianza di un vecchio insegnante]
Se l'Altro sapesse di sé - come dovrebbe sapere di noi - non dubiterebbe mai del nostro amore. Consapevoli di noi stessi, sappiamo bene che nelle cose d'amore le ragioni per cui abbiamo scelto l'altro ci sono note solo in parte. Quando ci ritroviamo a vivere l'attimo ek-statico - quando cerchiamo di trascendere l'hic et nunc della semplice-presenza dell'altro per arrivare a toccare la sua anima -, quel protendersi verso il cuore ben rotondo della verità che è il palpito del cuore che solo è in grado di eternare l'istante, che ne è di noi, se non siamo sostenuti da uno sguardo che inveri i nostri sforzi e che ci dica sì, perché la vita così vuole da noi? [la testimonianza di un'anima disincantata]