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Muovere verso l’altro significa anche fare i conti con persone che non ci corrisponderanno o che appariranno sulla scena con caratteristiche perturbanti: il modo di mostrarsi con la propria sensibilità è già rivelatore. Siamo portati ingenuamente a pensare che si debba essere profondi o che si sia profondi per natura e che si possa decidere se farsi coinvolgere emotivamente o no in una relazione umana. E ci convinciamo crescendo che da alcune figure di rilievo - i nostri genitori, ad esempio - non possa venire altro che riconoscimento ed affetto: difficilmente, arriveremo a comprendere, ad esempio, che una madre possa non provare alcun sentimento per noi.
Certamente, potremo mantenere una ‘distanza’ grande, riservando all’altro un interesse solo formale oppure ostentare disinteresse. Ne faremo sempre una questione di sensibilità personale, di personale capacità di sentire l’altro e di mostrare di possedere una sensibilità viva… In realtà, quello che mettiamo in campo è il nostro modo di orientarci verso un valore: noi attribuiamo all’altro un valore da cui dipenderà il ‘grado’ dell’affettività che esprimeremo nei suoi confronti. Gli affetti che proveremo traspariranno, in qualche misura.
Riusciremo anche a dissimularli, se necessario, più o meno abilmente. Chi non ha nascosto, infatti, anche per anni un sentimento che non poteva in nessun modo essere dichiarato? Può darsi anche il fatto che procediamo a lungo inconsapevolmente, come se nulla stesse accadendo in noi. Un accidente improvviso o un brusco risveglio provocato ad arte da qualcuno ci rivelerà a noi stessi. Avvertiremo chiaramente di essere stati colpiti da una presenza, di essere ormai affetti da interesse... Ci sentiremo affezionati a quella persona. Essa si distinguerà tra le altre cose del mondo. Avrà un significato per noi e un valore.
Non accade poi sempre così, quando si tratti di persone appartenenti alla schiera familiare allargata?
A insensibilità, anaffettività, superficialità del sentire non dovremo opporre profondità del sentire? e questa profondità dovremo intendere come espressione di una grande sensibilità personale o come capacità di attivare gli strati profondi della sensibilità propria di ogni persona? E che cos'è essere profondi se non avanzare nella conoscenza dell'altro, arricchendo la relazione di sempre nuovi significati e nuove occasioni di contatto e di scambio emotivo? La metafora spaziale non serve. Profondità è questo: non rinvia a qualcosa che stia più a fondo. Non è stato Pavese a dire ne Il mestiere di vivere: «Amore è desiderio di conoscenza»?
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