Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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mercoledì 18 agosto 2010

Improvvisamente, poco fa

Lo spazio della musica è la speranza privata, oserei dire nascosta. Il suo tempo e i suoi tempi sono tutto. All'origine di tutto non c'è stata forse un'esplosione? un boato un grido dell'Universo che si è fatto Multiverso... Non era il fragore di un'Orchestra: dal Caos e dal Silenzio all'ordine dei Suoni inauditi, improvviso passo di danza delle cose? Ogni attacco non è già incipit, l'avvio di un racconto?

E la speranza segreta di cui parlavo non è la promessa lungamente coltivata di un dialogo possibile?

Dire "Io ho la Musica" o "la mia Musica" vi sembra, allora, più chiaro? Se l'incontro con una donna, se la sua apparizione - autentica Epifania mondana - rischia di sconvolgere l'assetto abitudinario della nostra vita, come chiameremo una figura che invece si intonerà con essa, che si farà accordo, comportandosi come lo strumento che 'entra' al momento opportuno, né un momento prima né un momento dopo? e che ha qualcosa da dire, a cui a nostra volta qualcosa ancora vorremo dire?

Non è il corrispondersi jam dello strumento dell'anima quello che cerchiamo, come se la vita fosse ogni volta di nuovo una sessione in cui non importa se si tratta di quartetto o di un 'semplice' trio? noi vorremmo, addirittura, che fosse per noi un duetto eterno, cadenzato soltanto dall'ansito breve delle voci e degli sguardi! Le mani saprebbero bene dove posarsi e quando. E le membra tutte del corpo seguirebbero.

Un vecchio poeta ha scritto a sua madre, ormai lontana:

ci siamo sbagliati a disperare di noi, / siamo perfetti / nel duetto per voce sola, / mia itaca perenne di tutte le mie vite / deviate dall'equivoco

Ancora musica, insomma. Oltre la stessa vita! E cos'altro, se non Musica!?

E Lei cosa vorremmo che fosse per noi, se non un Breaking Rain perenne?

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