Al di qua dello sguardo - Elegia della vita schiva

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mercoledì 18 agosto 2010

Lungo i sei lati del mondo, in cerca di un Oriente.



Se assumiamo che il Nord sia la Musica e il Sud la Casa, ad Ovest cercheremo Itaca, ad Est Lei. Dei sei lati del mondo mancano l'alto e il basso: i cieli d'Irlanda e la terra che calpestiamo.

L'Oriente è lei, sempre lei. Ma non la cercheremo in una sola direzione. Ci accadrà di incontrarla dappertutto. E questo vuol dire che la porteremo nel cuore dovunque andremo, chiunque sia e quando vorrà apparire al mondo.

Del mio Nord dovrei dire, forse, che è il Cinema, ma la stella che mi guida, di volta in volta, è l'Estetica, la Musica, il Cinema...

Lei è la Sorgente. Rilke ha scritto in un verso memorabile: io sono la rugiada ma tu, tu sei la pianta. Insomma, c'è qualcosa di 'nativo' in lei. Cos'altro cerchiamo inesausti per tutta la vita se non un Inizio a cui ricondurre le (nostre) cose?

Ricordate le infinite suggestioni di Prima persona di Andrea Zanzotto?

- Io - in tremiti continui, - io - disperso / e presente: mai giunge / l'ora tua, / mai suona il cielo del tuo vero nascere. / Ma tu scaturisci per lenti / boschi, per lucidi abissi, / per soli aperti come vive ventose, / tu sempre umiliato lambisci / indomito incrini / l'essere macilento / o erompente in ustioni. / Sul vetro / eternamente oscuro / sfugge pasqua dagli scossi capelli / primavera dimora e svanisce. / Tu ansito costretto e interrotto / ora, ora e sempre, / insaziabile e smorto raggiungermi. / Ora e sempre? Ma se di un bene / l'ombra, se di un'idea / solo mi tocchi, o vortice a cui corrono / i conati malcerti, il fioco / sospingermi del cuore. E là nel vetro / pasqua e maggio e il rissoso lume affondano / e l'infinito verde delle piogge. / Col motore sobbalza / la strada e il fango, cresce / l'orgasmo, io cresco io cado. / Di te vivrò fin che distratto ecceda / il tuo nume sul mio / già estinto significato, / fin che in altri terrori tu rigermini / in altre vanificazioni.

Ma questo inizio ha da essere vasto e parlare alle soglie del giorno, perché più chiaro sia il timbro della voce quando scoccherà l'ora del suo nascere. Bisogna indugiare a lungo tra il canto dell'usignolo e quello dell'allodola, non tanto per ritardare l'avvento della luce, quanto per esser pronti al suo incedere e saper riconoscere chi e cosa quando sarà. Solo così potrò dirle: ti aspettavo. E, più o meno: ci conoscevamo già. Oppure, ancora: eravamo forse già in cammino e ci separava un pari intervallo. E infine: io avevo iniziato già a parlarti.

Per lo spartito da scrivere qui e per le scene da approntare, perché siano adatti a lei il luogo e l'ora, non dovremmo forse stendere una mappa anche solo provvisoria del territorio che attraverseremo? Io lo so che le cose poi andranno diversamente, ma lasciatemi dire di me, perché un po' più chiare vi siano poi le parole che non pronuncerò, non tanto perché le avrò già dette qui, ma perché la sua luce non so bene cosa evocherà in me e se mancherò l'appuntamento con il mio destino.

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